Cubbit la startup che piace al CERN e che vuole sviluppare un Cloud ecosostenibile

Cubbit

Cubbit vuole cambiare, a partire dal cloud, il volto di internet. Oggi questo si regge su un’infrastruttura di server farm, dispositivi di computer molto grandi e inquinanti che si estendono per migliaia di chilometri quadrati e custodiscono i dati di tutto il mondo. Cubbit propone un’alternativa radicale: una rete completamente distribuita e gratuita che renda gli utenti finalmente padroni dei loro dati.

Il tutto è reso possibile da un piccolo dispositivo, la Cubbit Cell, il nodo della rete Cubbit. Grazie ad essa l’utente accede al cloud distribuito, in cui i suoi file vengono criptati, copiati e distribuiti su altri nodi. Successivamente, può accedere a essi tramite un’interfaccia web, mobile o desktop, in tutto e per tutto simile a Dropbox, ma con due fondamentali differenze: non ci sono abbonamenti né violazioni della privacy. La startup infatti, diversamente dagli altri servizi cloud, non ha accesso ai dati degli utenti, né tantomeno alle loro password. E se l’utente finisce lo spazio, può semplicemente collegare gli hard disk che già possiede al dispositivo, senza pagare. Questa è l’idea: «Ricicliamo le risorse internet e le trasformiamo in servizi cloud oggi, ma sostanzialmente in servizi di data center domani, che sono i più competitivi sul mercato» spiega Alessandro Cillario, COO di Cubbit.

Cubbit è una startup con sede a Bologna e Tel Aviv, fondata nel 2016 da Marco Moschettini (CTO), Stefano Onofri (CEO), Alessandro Cillario (COO) e Lorenzo Posani (CSO). «Cubbit nasce durante il nostro periodo universitario. L’idea di partenza, venuta a uno dei nostri soci, era quella di trovare una tecnologia che permettesse di eliminare i data center centrali» racconta Stefano Onofri. «Abbiamo iniziato a lavorarci praticamente da subito dopo la laurea, nei primi mesi ci arrangiavamo in un piccolo appartamento nel centro di Bologna, di proprietà di un parente di un nostro socio. Di giorno utilizzavamo il posto come ufficio, e alla sera lo affittavamo su Airbnb. In questo modo ci siamo pagati le prime spese. Diciamo sempre che non siamo nati in un garage, come i grandi della Silicon Valley, ma in un Airbnb».

 

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