Per quanto riguarda il lavoro subordinato vige, tra gli altri, il c.d. obbligo di fedeltà, di cui all’art. 2105 del codice civile che prevede che “Il prestatore di lavoro non deve trattare affari, per conto proprio o di terzi, in concorrenza con l'imprenditore, né divulgare notizie attinenti all'organizzazione e ai metodi di produzione dell'impresa, o farne uso in modo da poter recare ad essa pregiudizio.”
Pertanto, in costanza di rapporto di lavoro subordinato, vige il divieto di concorrenza. Alla cessazione del rapporto, cessa anche il divieto. Tuttavia, occorre accertare se, nel rispetto dell’art. 2125 c.c., le Parti hanno regolamentato tale fattispecie. La norma prevede che:
“Il patto con il quale si limita lo svolgimento dell'attività del prestatore di lavoro, per il tempo successivo alla cessazione del contratto, è nullo se non risulta da atto scritto, se non è pattuito un corrispettivo a favore del prestatore di lavoro e se il vincolo non è contenuto entro determinati limiti di oggetto, di tempo e di luogo.
La durata del vincolo non può essere superiore a cinque anni, se si tratta di dirigenti, e a tre anni negli altri casi. Se è pattuita una durata maggiore, essa si riduce nella misura suindicata.”
In ogni caso, resta sempre applicabile l’art. 2598 c.c. in tema di atti di concorrenza sleale.
Per quanto riguarda, invece, il nome della ditta, ossia la denominazione sociale della Società presso la quale il lettore sarà socio amministratore, presumendo che questa sia stata costituita successivamente a quella in cui era lavoratore dipendente, non può essere simile a quello che agisca nella stessa zona o settore di mercato. In caso contrario, ai sensi degli artt. 2564 e 2567 c.c. la Società presso la quale il lettore era lavoratore subordinato, può chiedere al giudice la modifica del nome della ditta costituita in un momento successivo rispetto all’altra.