La legge n. 183 del 10/12/2014 (G.U. n. 290 del 15/12/14) contiene le “deleghe al Governo in materia di riforma degli ammortizzatori sociali, dei servizi per il lavoro e delle politiche attive, nonché in materia di riordino della disciplina dei rapporti di lavoro e dell’attività ispettiva e di tutela e conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro”.
A tutt’oggi non risultano pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale gli ultimi due decreti attuativi del c.d. job act, uno riferito alle regole sulla maternità, l’altro che prevede, appunto, lo stop dei co.co.pro dal 1 gennaio 2016.
A decorrere dall’entrata in vigore del decreto non sarà più possibile stipulare nuovi contratti di collaborazione coordinata e continuativa a progetto, ma resteranno salve alcune fattispecie di collaborazioni:
-Quelle regolamentate da accordi collettivi, stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, che prevedono discipline specifiche relative al trattamento economico e normativo in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative del relativo settore e poche altri tipi di collaborazioni. (Tra questi, emerge quello dei call center);
-Le collaborazioni prestate nell’esercizio di professioni intellettuali per le quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi professionali (es. consulente del lavoro);
-Le attività prestate dai componenti dei consigli di amministrazione, dei collegi sindacali e degli altri organi di controllo societari e dei partecipanti a commissioni od altri organi collegiali;
-Le prestazioni di lavoro rese ai fini istituzionali in favore delle associazioni e società sportive dilettantistiche affiliate alle federazioni sportive nazionali alle discipline sportive associate ed agli Enti di promozione sportiva riconosciute dal Coni, individuati dall’art.90 della legge 289/2002.
Per quanto riguarda, invece, le partite iva, si ricorda che già la legge Fornero (92/2012) aveva introdotto delle regole al fine di portare allo scoperto quelle “false”. Ossia che le prestazioni lavorative rese da persona titolare di posizione fiscale ai fini Iva, sono considerate, salvo prova contraria da parte del committente, rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, quando ricorrono almeno due dei seguenti presupposti:
a) che la collaborazione con il medesimo committente abbia una durata complessiva superiore a otto mesi annui per due anni consecutivi;
b) che il corrispettivo derivante da tale collaborazione, anche se fatturato a più soggetti riconducibili al medesimo centro d'imputazione di interessi, costituisca più dell'80 per cento dei corrispettivi annui complessivamente percepiti dal collaboratore nell'arco di due anni solari consecutivi;
c) che il collaboratore disponga di una postazione fissa di lavoro presso una delle sedi del committente.
La presunzione di cui sopra non opera qualora la prestazione lavorativa presenti i seguenti requisiti: a) sia connotata da competenze teoriche di grado elevato acquisite attraverso significativi percorsi formativi, ovvero da capacità tecnico-pratiche acquisite attraverso rilevanti esperienze maturate nell'esercizio concreto di attività; b) sia svolta da soggetto titolare di un reddito annuo da lavoro autonomo non inferiore a 1,25 volte il livello minimo imponibile ai fini del versamento dei contributi previdenziali di cui all'articolo 1, comma 3, della legge 2 agosto 1990, n. 233. c) La presunzione di cui al comma 1 non opera altresì con riferimento alle prestazioni lavorative svolte nell'esercizio di attività professionali per le quali l'ordinamento richiede l'iscrizione ad un ordine professionale, ovvero ad appositi registri, albi, ruoli o elenchi professionali qualificati e detta specifici requisiti e condizioni.
Se il committente non è in grado di dimostrare l’esistenza di una collaborazione a progetto, così come definita dall’art. 67 del D.Lgs. 276/2003 (c.d.Legge Biagi), si presume la natura subordinata del rapporto, a tempo indeterminato e fin dalla sua costituzione.
In effetti, a tutt’oggi, e alla luce di quanto sopra esposto, appare problematico prevedere delle forme di collaborazione che non siano riconducibili ai rapporti di lavoro subordinato. Inoltre, la fattispecie proposta dal lettore, dovrà altresì confrontarsi con la normativa di cui al D.Lgs. 66/2003 e con i contratti collettivi di riferimento, in materia di orario di lavoro.