Il lettore non specifica il tipo di società, ossia se trattasi di una società di persone o di una società a responsabilità limitata. Nel primo caso, per esempio una società in nome collettivo, la prestazione lavorativa è intrinseca nella figura del socio, mentre nel secondo occorrono delle ulteriori riflessioni.
Il fatto che l’altro socio (presumibilmente senza l’ulteriore veste di amministratore) stia eseguendo la prestazione lavorativa per la Società, fa supporre che la sua posizione risulti quella di “socio lavoratore”, con conseguente iscrizione all’Inail per la copertura del rischio degli infortuni, e all’Inps nella gestione, verosimilmente, commercianti per i relativi contributi previdenziali (se fosse una società artigiana occorrerebbe un’altra valutazione ancora più specifica).
L’amministratore unico, in quanto tale, può, teoricamente, pretendere che la prestazione lavorativa non debba più essere eseguita, provvedendo, tra l’altro, alle relative cancellazioni presso gli Istituti di cui sopra. Tuttavia, giova ricordare che l’art. 2479 bis c.c. prevede che l’assemblea dei soci, che nomina gli amministratori, è regolarmente costituita con la presenza di tanti soci che rappresentano almeno la metà del capitale sociale e delibera a maggioranza assoluta.
Ciò per suggerire che se sulla carta, teoricamente, è possibile impedire all'altro socio al 50%, di lavorare in azienda, nella realtà tale azione può essere fonte di dissidi e controversie che, inevitabilmente si andranno a ripercuotere sulla società medesima, con danno per tutti i soci.
Grazie per la risposta. Però volevo precisare che si tratta di una S.R.L.,e che il socio lavoratore ha svolto per 20 anni le funzioni di amministratore di fatto,anche se non ricopriva la carica di amministratore unico. Per un litigio,l’amministratore unico si è puntato ed ha tolto sia la firma in banca,sia la possibilità di parlare ai dipendenti, sia la possibilità di trattare coi fornitori,all’altro socio al 50%.
Quest’ultimo socio ha sempre fatto tutto il suddetto per 20 anni di attività
Grazie e distinti saluti
La questione appare molto delicata e critica. Alla luce di quanto esposto, si potrebbe ritenere che il c.d. socio lavoratore era anche un amministratore di fatto. Giuridicamente ciò comporta che egli è assoggettato a tutti gli obblighi e doveri previsti dall’ordinamento per l’amministratore di diritto. Di converso, egli può esercitare buona parte dei medesimi poteri.
Delle due l’una: se il socio viene considerato come amministratore di fatto, potrà continuare a trattare con i fornitori, i dipendenti ecc..Se non viene considerato come tale, allora è proponibile quanto esposto nella comunicazione precedente.
Tuttavia, tale considerazione, meglio, valutazione non spetta al giudizio dell’amministratore unico, (quanto meno, non solo a lui) bensì agli stakeholder della società medesima. Va da sé che la legittimità di tale valutazione spetterà all’organo giudiziario, qualora dovessero insorgere delle liti.