Startup in the Net 2020 - Intervista a Mumble

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Sulla carta sviluppano applicazioni, in realtà sono innovatori di successo. Mattia Farina, Francesco Vellani e Giacomo Torricelli sono i founder di Mumble, la startup con base a Modena che si occupa di soluzioni digitali all’avanguardia per brand e imprese. Hanno 90 anni in tre e molta determinazione: il loro sogno è quello di diventare il punto di riferimento italiano nel loro settore grazie a MBurger, il prodotto di punta che li ha portati a collaborare oltreoceano addirittura con il governo degli Stati Uniti. Si tratta di una tecnologia proprietaria che accelera un processo che altrimenti sarebbe lungo e costoso. «Un nostro cliente ci ha chiesto di sviluppare una app nel 2013 e una nel 2016» racconta Mattia Farina «la prima volta il nostro team ha impiegato due mesi, la seconda mezza giornata». In quei tre anni c’è il percorso di una startup fondata nel 2013 da tre ragazzi poco più che ventenni con il desiderio di lasciare un segno nel mare magnum dell’ICT. Mattia Farina ci racconta come è andata.

Farina, startupper si nasce o si diventa?

Nel mio caso posso parlare di un sentimento, di un forte desiderio di creare qualcosa di bello e utile per le persone. Quando ho fondato Mumble con i miei soci avevo 23 anni e non avevo idea a quel tempo di dove saremmo finiti e forse questo non lo so ancora. Io sono ingegnere gestionale, Francesco aveva precedenti esperienze in diverse agenzie di comunicazione locali mentre Giacomo era uno studente di ingegneria informatica. Decidemmo di mettere insieme le nostre competenze e di buttarci nel mondo delle app.

Ci spieghi nel dettaglio cosa fa Mumble?

Siamo specializzati nello sviluppo di applicazioni mobile per smartphone occupandoci di tutto lo stack ovvero coprendo ogni fase del percorso, dalla progettazione al design passando per il software. In questo siamo particolarmente competenti e siamo riusciti a creare una piattaforma che ci contraddistingue da tutti gli altri.

In che modo?

Per farlo parto raccontando le fasi che solitamente si nascondono dietro allo sviluppo di applicazioni mobile. Dopo la fase di consulenza con il cliente in cui progettiamo  la sua app e le funzionalità da inserire in quella noi chiamiamo journey cioè il viaggio dell’utente, passiamo alla fase di disegno dell’interfaccia vera e propria. A quel punto lo sviluppatore si trova di fronte a una «catena di montaggio» che a sua volta è fatta di tre fasi principali: l’infrastruttura server quindi la parte di cloud, una parte di logica e di back-end cioè di sviluppo del database e infine la parte di front-end che è sostanzialmente lo sviluppo della app. E fin qui nulla di diverso dagli altri se non fosse che nel 2014 siamo riusciti ad automatizzare quella famosa «catena di montaggio» che altro non era che una serie di passaggi ripetitivi. Ciò ci permette di realizzare applicazioni di altissima qualità e dal design personalizzabile in ogni dettaglio, ottimizzando il processo: abbiamo fatto in modo che con la nostra piattaforma - che abbiamo chiamato MBurger - infrastruttura e backhand siano sempre gli stessi in modo tale da non ricominciare ogni volta da zero, riducendo quindi i costi.

Che cos’è MBurger?

È il nostro CMS headless che ci permette di modellare i contenuti come se fossero gli ingredienti per preparare un hamburger. È uno strumento che abbiamo creato e usato per i nostri clienti a partire dal 2014. Ora che è perfezionato abbiamo attivato una strategia commerciale di distribuzione per aziende come la nostra in modo tale che possano utilizzare il nostro prodotto pagando una fee per sviluppare le loro soluzioni. MBurger si rivolge a un mercato B2B e possiamo dire che tra Stati Uniti, Europa e India, i competitor al nostro livello non sono più di una dozzina. La piattaforma è a supporto due tipi di professionalità differenti: da un lato c’è lo sviluppatore che la può integrare nel suo front-end, dall’altra c’è il content manager che la utilizza per compiere una serie di attività tipo gestire i contenuti, attivare o disattivare sezioni, personalizzare lo stile - contenuti, icone o altro - e coinvolgere gli utenti attraverso, ad esempio, sondaggi, notifiche push, messaggi in app e così via.

Avete impiegato sette anni per sviluppare MBurger. Come vi siete mantenuti nel frattempo?

Mumble sta crescendo grazie allo sviluppo app conto terzi, attività che continuiamo a seguire. Questo ci ha permesso di innovare il processo: più lo utilizzavamo, più potevamo migliorarlo. Ogni cliente per noi diventava un test. Ora in Italia siamo piuttosto conosciuti: lavoriamo con realtà molto grandi come Radio Bruno, Conad, Clarins, Modena Volley. Collaboriamo anche con il governo degli Stati Uniti: abbiamo sviluppato e realizzato una app per il supporto mentale da stress da Covid.

Come vi hanno trovato?

Nel 2015 siamo stati in Silicon Valley di nostra iniziativa e abbiamo preso contatti con quattro papabili partner. Tutto è partito da un’intuizione: in Italia lo sviluppo software è davvero di altissima qualità a livello globale e, rispetto agli Stati Uniti, ha dei costi competitivi. Abbiamo pensato che farci conoscere là poteva essere un’occasione. E infatti collaboriamo da anni con un’azienda che tra i suo clienti annovera il governo americano.

Cosa prevede la vostra roadmap?

Abbiamo superato lo scoglio enorme dello sviluppo quindi da qua al 2025 dobbiamo dimostrare di avere traction, cioè capire come e quanto piace il nostro prodotto, e puntare a un round di investimento importante che ci permetta di consolidare il prodotto e di crescere sul mercato. Visto che facciamo parte del network di EmiliaRomagnaStartUp, ART-ER ci sta dando una mano presentandoci a dei fondi di investimento dal momento che siamo un’impresa in forte crescita. Per questo ci stiamo concentrando sulla parte di comunicazione e marketing. Nei primi mesi del 2020 abbiamo aperto la piattaforma e abbiamo cominciato a raccogliere feedback intervistando i nostri utenti per vedere cosa si può migliorare. Abbiamo finalmente cominciato a vedere i primi progetti on line sviluppati su MBurger senza che Mumble ci abbia lavorato.

Cosa serve per arrivare fin qui?

Costanza e audacia. Non bisogna mai mollare di fronte agli ostacoli che quando si ha una startup sono all’ordine del giorno: i problemi sono di ogni tipo, di carattere tecnologico, commerciale, nel rapporto con i partner e con i clienti. Per affrontare questo, il mio consiglio è quello di formare una società il più eterogenea possibile in termini di competenze e caratteri perché questo rende più facile la valutazione dei pro e dei contro di ciascun aspetto. Ogni giorno bisogna fare delle scelte e prendere decisioni che possono essere giuste o sbagliate ma continuando a perseverare prima o poi la strada giusta si trova.

A proposito, perché vi chiamate Mumble?

Quando siamo partiti non avevamo una identità ben precisa che ci potesse far scegliere un nome preciso. Poi un giorno mentre chattavo con Francesco su Whatsapp e buttavamo lì delle idee a un certo punto lui scrive «mumble mumble». Io confesso che non ne conoscevo il significato e lui mi risponde: «Questo è il rumore che fa il pensiero nei fumetti di Topolino». Per noi che ci occupiamo di innovazione di processo penso non ci possa essere un nome migliore. In fondo questo è il suono che sentiamo ogni giorno nella nostra testa

 


Tutte le interviste dell'edizione 2020 di Startup in the Net sono disponibili a questo link.

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