Startup in the Net 2021 - Intervista a GetCoo

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La rubrica Startup in the Net raccoglie una serie di interviste realizzate a startup innovative iscritte a EmiliaRomagnaStartUp e che ART-ER segue nel loro percorso di sviluppo e crescita.


A fine anno Getcoo diventa grande quando da startup formalizzerà il passaggio a PMI innovativa. Per il team questo è anche il momento di fermarsi per fare un bilancio della loro impresa nata nel 2015 tra successi e lezioni apprese con l’esperienza. In questi anni per raccogliere i fondi per mettere a punto i progetti di computer vision, più volte Getcoo si è affidata allo strumento del crowdfunding. Stefano Berti, founder e CEO della startup, ci racconta come è andata.

Di che cosa vi occupate?

Getcoo sviluppa sistemi di computer vision basati su una tecnologia proprietaria di intelligenza artificiale che abbiamo chiamato DART, acronimo di Direct Acquisition and ReTrieval. Siamo partiti nel 2015 con una app in grado di riconoscere opere d'arte e monumenti semplicemente scattando una foto. Abbiamo scelto quel mercato perché era il più veloce e il più semplice per riuscire a ottenere un numero elevato di foto per fare il training della rete e per sviluppare gli algoritmi di identificazione. È stato il test che ci è servito per mettere a punto la nostra tecnologia che abbiamo potuto utilizzare da subito.

Dopo quel progetto iniziale DART ha trovato applicazioni?

Sì. Abbiamo raffinato e migliorato la tecnologia consentendoci di rilasciare altri prodotti di natura completamente diversa come Piqapart, un prodotto pensato per il comparto industriale che consente il riconoscimento di parti di ricambio e componentistica. In catalogo abbiamo anche Instabrick, una piattaforma rivolta ai collezionisti di mattoncini Lego capace di identificare i diversi mattoncini. Infine, l’ultimo prodotto su cui abbiamo lavorato è Flowman, un avanzato sistema di interazione per la gestione del flusso clienti nella grande distribuzione o in ambienti come gli aeroporti dove è necessario gestire le file in modo ordinato.

Qual è la caratteristica che rende unica la tecnologia DART?

Rispetto ai sistemi tradizionali di computer vision basati su intelligenza artificiale, DART ha una fase di training molto piu’ veloce e flessibile, che puo’ essere effettuata in continuo. Inoltre permette di identificare categorie con granularita’ estremamente fine, ad esempio fornendo i codici identificativi di oggetti privi di codice a barre. Infine, puo’ essere utilizzato per gestire un numero enorme di categorie di oggetti, per esempio il database di Instabrick contiene oltre 130000 articoli diversi. Tutti questi vantaggi fanno di DART il nostro vantaggio competitivo, ma ovviamente c’è anche il rovescio della medaglia: se con l’intelligenza artificiale classica si identifica un oggetto in qualche millisecondo, con il nostro sistema il riconoscimento avviene in qualche decimo di secondo. 

Nel 2018 avete lanciato la vostra prima campagna di equity crowdfunding. Ce la può raccontare?

Volevamo raccogliere i fondi necessari per sviluppare ulteriormente la tecnologia e cercare al contempo un mercato in cui impiegarla. Ci siamo confrontati con altre startup e questo ci era sembrato il modo più rapido per ottenere questo risultato. Come piattaforma abbiamo scelto Mamacrowd: lì devi raggiungere il minimo di raccolta e quando raggiungi il massimo la campagna si chiude. Per noi è stato un successo. Nel giro di 24 ore abbiamo raccolto 150mila euro, il massimo che noi avevamo definito.

Oltre ai fondi, cosa avete ottenuto con la campagna?

Il bene più prezioso è stato senza dubbio il contatto con gli investitori. Grazie al loro ingresso abbiamo conosciuto delle aziende per le quali abbiamo poi sviluppato delle soluzioni. Poi, dopo tre anni, finalmente avevamo una capacità di spesa per investire nell’infrastruttura o nel software e per fare determinati test. Fino a quel momento la startup si sosteneva con ciò che guadagnavamo grazie alla vendita nei nostri servizi. Con il crowdfunding, invece, abbiamo fatto il salto di qualità di cui avevamo bisogno per crescere.

L’anno dopo vi siete buttati in un’altra campagna. Stavolta con un progetto che ha avuto una grande risonanza mediatica: vi siete rivolti al mercato dei collezionisti dei Lego. Come vi è venuto in mente?

Il mercato dei mattoncini offre un buon numero di combinazioni: ad oggi possiamo contare oltre 100 mila referenze. Per sviluppare il prodotto però avevamo bisogno di fondi in particolare per la progettazione e realizzazione dell’hardware. Quindi abbiamo lanciato prima la campagna su Kickstarter anche con il supporto di ART-ER e poi su Indiegogo visto che questa piattaforma ti consente di agganciarti a una campagna precedente, senza necessariamente impostare un goal. Con l’intera operazione abbiamo raccolto 82mila euro che ci sono serviti per sviluppare Instabrick, un prodotto stavolta non più riservato a un mercato B2B ma a uno B2C. Questo è un primo passo nel settore del collezionismo: abbiamo altre idee per applicare la stessa tecnologia, stiamo solo aspettando di capire come e quando farlo.

Non c’è due senza tre. L’ultima campagna l’avete chiusa solo qualche settimana fa. Ci spiega il perché di questa scelta?

Se nella prima campagna di equity crowdfunding l’obiettivo era sviluppare la tecnologia, ora che abbiamo in mano dei prodotti ben definiti abbiamo bisogno di spingerli sul mercato. Quindi abbiamo lanciato una raccolta su Opstart per fare un ulteriore passo in avanti. Avevamo bisogno di potenziare gli algoritmi, di ampliare la rete commerciale e di investire in marketing e comunicazione per potenziare il brand. La campagna è andata a buon fine visto che abbiamo raccolto 108000 € superando la quota inscindibile.

Cosa è cambiato in questi tre anni secondo voi?

I motivi sono diversi a mio avviso. Da una parte c’entra il periodo ambiguo: gli investitori sono sicuramente più cauti. Dall’altra credo che rispetto alla nostra prima campagna ci sia un po’ meno entusiasmo rispetto allo strumento. Probabilmente il crowdfunding, visto anche il momento storico, va un po’ rinnovato nelle sue dinamiche. 

Voi che siete dei veterani che consiglio dareste a dei colleghi che vogliono raccogliere capitale attraverso il crowdfunding?

Secondo me adesso è un po’ più difficile di quando siamo partiti noi, quindi credo sia fondamentale avere già dei contatti diretti e un buon pre-commitment per avviare una campagna di equity crowdfunding.

Altri consigli da offrire a giovani startupper?

Di accelerare e di non perdere tempo perché il tempo spesso quando si è una startup non c’è. Di instaurare collaborazioni con aziende per avere la possibilità di testare e validare un prodotto tramite la realizzazione di un POC (anche gratuito) per capire come migliorarlo e per risolvere i problemi.


Tutte le interviste realizzate per la rubrica Startup in the Net sono disponibili a questo link.

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