Startup in the Net 2020 - Intervista a Packtin

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Dimostrare ai grandi player dell’agroalimentare che un’economia circolare non solo è possibile ma è anche vantaggiosa dal punto di vista economico. È questo il sogno di Packtin, una startup nata nel 2017 come spin off dell’Università di Modena e Reggio Emilia che recupera prodotti di scarto come bucce di arancia, mela, pomodoro e polpa di barbabietola per farne ingredienti naturali per la conservazione degli alimenti e per realizzare un packaging completamente biodegradabile. Per saperne di più, abbiamo raggiunto Andrea Quartieri che di Packtin è co-founder e direttore operativo.

Quartieri, ci descriva Packtin con una manciata di parole.

Packtin è una piattaforma tecno-scientifica che propone una rivoluzione nel settore strategico dei sottoprodotti agroindustriali. Il nostro quartier generale è a Reggio Emilia. La nostra mission è quella di creare un nuovo modello produttivo circolare per l’industria agroalimentare che in Emilia-Romagna, ma anche nel resto d’Italia, è, come sappiamo bene, un importante driver di crescita, occupazione e innovazione, nonché un pilastro dell’export. In particolare, ci occupiamo di recuperare i sottoprodotti delle aziende alimentari e di estrarre i composti ad alto valore in essi contenuti, come ad esempio vitamine, antiossidanti, fibre. Queste nuove materie prime sono reimmesse sul mercato o sono utilizzate da Packtin per creare ingredienti e rivestimenti naturali innovativi per aumentare la conservazione degli alimenti freschi. 

Come è nata l’idea?

L'idea di creare una startup è nata durante le nostre ricerche all’Università di Modena e Reggio Emilia, nel laboratorio di microbiologia alimentare del professor Andrea Pulvirenti. Nel corso dei nostri test abbiamo studiato diversi rivestimenti e pellicole a base naturale, con l’obiettivo di ridurre gli sprechi alimentari e l’utilizzo di plastica monouso, in modo da contribuire a diminuire l’impatto ambientale e accrescere la sostenibilità dell’agroalimentare italiano. Lavorando sull’idea abbiamo capito che il miglior modo per rendere questi prodotti sostenibili sia a livello economico che ecologico era utilizzare i sottoprodotti di cui parlavamo sopra, andando quindi a ridurre gli scarti sia a monte che a valle del settore.

Da chi è composto il team?

Il cuore scientifico e operativo del team è composto da Riccardo De Leo, Francesco Bigi, Andrea Bedogni e me: siamo quattro giovani under 35 tutti laureati all’Università di Modena e Reggio Emilia. Possiamo inoltre contare sul nostro mentore scientifico, il professor Andrea Pulvirenti che menzionavo prima e su Vittorio Molinari, esperto commercialista che ci supporta nella strategia di sviluppo a cui si aggiunge un pool di talenti molto agguerriti in ambito legale, comunicativo, brevettuale, marketing e grafico. Tutti quanti vantano importanti background professionali con esperienze di peso in Italia e all’estero: Packtin nasce locale ma guarda al globale.

Nel 2017 avete partecipato alla Start Cup Emilia-Romagna, Come è cambiato il progetto in questi anni?  

Siamo cresciuti e maturati dal punto di vista imprenditoriale, anche grazie al confronto con esponenti di primo piano della comunità produttiva della nostra regione e del Triveneto. Abbiamo completato il prototipo del nostro estrattore e siamo pronti ad avviare le prime produzioni nel 2021. Entro due anni vogliamo raggiungere la capacità di trattare una tonnellata di sottoprodotti al giorno. Ora stiamo cercando la struttura giusta per il primo impianto Packtin: vogliamo che sia la nostra «fabbrica del futuro».

Un obiettivo ambizioso. 

Vogliamo contribuire alla Green Revolution in Italia diventando la prima azienda agroalimentare circolare capace di sfruttare in modo completo e sostenibile le risorse attraverso un impianto di nuova generazione. È vero, è un obiettivo ambizioso, ma l’economia circolare non è solo una bella idea: vogliamo costruire un modello capace di dimostrare ai grandi player della filiera agroalimentare che un’economia circolare è anche economicamente redditizia. A nostro parere questa è una grande opportunità per tutto il paese, dato che l’Italia è leader europeo - quando non mondiale - in diverse importantissime produzioni agricole, dal pomodoro all’arancia, dall’olio d’oliva alla barbabietola. Il treno dell’economia circolare sta passando, e il nostro paese ha tutte le carte in regola non solo per salire a bordo ma per stare alla guida.

La vostra tecnologia è brevettata?

Il know how è il cuore della nostra piattaforma tecno-scientifica. E infatti abbiamo depositato quattro brevetti: due riguardanti un innovativo prodotto detergente biodegradabile e due sulla tecnologia del processo estrattivo. Inoltre abbiamo effettuato diverse ricerche di anteriorità sui nostri rivestimenti naturali per gli alimenti freschi, tutte con esito positivo. Quindi i nuovi brevetti da depositare sono potenzialmente molti altri.

Voi avete ottenuto diversi riconoscimenti. Quanto sono importanti i premi per una startup?

I premi aiutano a capire che stai andando nella direzione giusta e sono uno sprone per fare ancora meglio e a dare il massimo tutti i giorni dell’anno, qualche volta anche di domenica. Abbiamo ricevuto il premio Demetra per l’Innovazione 2017 e il premio Best Solution for a Better World a Seeds&Chips 2018. Nel 2020 abbiamo ricevuto due Seals of Excellence dalla Commissione Europea. Inoltre abbiamo vinto tre bandi: due della Regione Emilia-Romagna e uno del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali.

Siete tra le imprese che hanno ottenuto il contributo dalla Regione Emilia-Romagna per sviluppare un progetto per contrastare la lotta al Covid-19. Di che cosa si tratta?

Questo prodotto è il classico esempio di innovazione che nasce dal convergere di competenze da settori diversi: infatti abbiamo pensato di applicare al mondo della detergenza e della sanificazione delle molecole già utilizzate in ambito alimentare e mangimistico. Abbiamo pensato che le loro caratteristiche antimicrobiche, unite alla loro completa non tossicità, fossero perfette per creare un nuovo prodotto in grado di venire incontro alle esigenze crescenti di prodotti biodegradabili e non inquinanti. Il supporto del bando regionale è fondamentale per completare i test sia per quanto riguarda l'attività virucida sui coronavirus sia per l’inclusione del prodotto all'interno di imballaggi plastici. I risultati parziali sono molto positivi, se si confermeranno potremo offrire imballaggi con proprietà virucide cioè in grado di distruggere i virus, potenzialmente importantissimi per garantire più sicurezza sanitaria.

In che modo ART-ER vi ha seguito in questi anni?

ART-ER ci ha sempre offerto un supporto prezioso grazie al quale abbiamo potuto partecipare gratuitamente a diverse fiere di rilevanza nazionale ed è stata anche una bussola per orientarci tra le varie iniziative. ART-ER ci ha segnalato premi, bandi e altre opportunità e ci ha aiutato concretamente, insieme al corrispettivo nazionale APRE, nel miglioramento delle proposte per i bandi europei, preparandoci anche alle impegnative interviste con la Commissione Europea. Senza considerare l’attività di networking grazie a cui siamo entrati in contatto con grandi aziende dell’ecosistema emiliano-romagnolo dell’innovazione che potrebbero avere interesse nei nostri progetti. Un nostro collega del Triveneto ci invidia molto: lui ritiene che il modello ART-ER dovrebbe essere esportato anche in altri territori italiani.

Il vostro team viene dal mondo della ricerca. Come vi trovate nei panni degli imprenditori?

È vero: io, Francesco Bigi e Riccardo De Leo, che è il presidente di Packtin, veniamo dal mondo della ricerca, ma Andrea Bedogni, che ha una formazione giuridica, ha lavorato per molti anni in un importante studio confrontandosi tutti i giorni con grandi corporate e PMI high-tech. Inoltre sia io che Riccardo siamo figli di piccoli imprenditori del nostro territorio, quindi non ci sentiamo del tutto dei pesci fuor d’acqua. Certo, non è facile: per chi ha un background scientifico viene spontaneo focalizzarsi sul prodotto e sulla tecnologia, meno a ragionare in termini di costi, mercato e competitor. Per fortuna quello dell’imprenditore è un mestiere che si impara sul campo, ogni giorno, grazie al confronto con i fornitori, i partner, i clienti e con i colleghi con più esperienza. È un primo consiglio che mi sento di dare a ogni startupper: per la buona riuscita di un’iniziativa imprenditoriale è essenziale saper ascoltare il cliente – anzi, se possibile stupirlo e anticiparlo – e capire dove vanno i mercati, non solo italiani ma europei e internazionali.

Altri consigli a giovani colleghi che vogliano intraprendere la vostra stessa avventura? 

In una startup la parola chiave è «TEAM». Il team è tutto. E prima di fondare una startup, è importante scegliere con chi. Cercate, per quanto possibile, di riunire fin dall'inizio tutte le competenze necessarie, in ambito tecnico, manageriale, commerciale o nel settore in cui siete scoperti. Non è necessario che facciano parte della squadra, possono essere anche consulenti esterni. Un altro consiglio, se posso, è quello di proteggere le idee ma di non esserne gelosi, ci sarà sicuramente bisogno di condividerle con altri per realizzarle prima e meglio.

 


Tutte le interviste dell'edizione 2020 di Startup in the Net sono disponibili a questo link.

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