Non esiste un divieto legislativo che sancisce che un socio possessore di quote al 60%, oltre ad essere amministratore, sia contestualmente dipendente della medesima Società. Tuttavia, tale combinazione di tali fattispecie non è attuabile, poiché le citate fattispecie sono incompatibili tra loro.
L’elemento fondamentale del lavoro dipendente è la subordinazione, ossia l’assoggettamento del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro.
Tra i vari poteri dei soci, c’è anche quello di nomina degli amministratori. L’art. 2479bis c.c. prevede (…) Salvo diversa disposizione dell’atto costitutivo, l’assemblea (…) è regolarmente costituita con la presenza di tanti soci che rappresentano almeno la metà del capitale sociale e delibera a maggioranza assoluta (…)
Il socio candidato al rapporto di lavoro subordinato è possessore di una quota al 60% della Società, e pertanto ha i poteri per far sì che l’assemblea (che nomina gli amministratori) sia regolarmente costituita, ed inoltre può deliberare possedendo la maggioranza assoluta.
Se il socio ha poteri tali da incidere sulla nomina e revoca degli amministratori, di fatto, può interferire con il pieno e libero svolgimento della volontà del medesimo organo amministrativo.
Pertanto, già il solo fatto di essere socio al 60% mal si concilia con l’elemento della subordinazione. Inoltre, il lettore specifica che è anche amministratore. La qualifica di amministratore unico è assolutamente incompatibile con quella di lavoratore subordinato presso la medesima Società.
Infatti egli si troverebbe nella situazione di essere assoggettato al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, ossia di sé stesso.
Il rischio, tra gli altri, è che a posteriori, l’Inps potrebbe disconoscere, appunto, tale rapporto di lavoro subordinato e non riconoscere i contributi via via versati negli anni durante il rapporto di lavoro, e quindi non riconoscere il diritto alla pensione.