La rubrica Startup in the Net raccoglie una serie di interviste realizzate a startup innovative iscritte a EmiliaRomagnaStartUp e che ART-ER segue nel loro percorso di sviluppo e crescita.
Puntare a un settore in fortissima espansione come il digital audio, esplorando uno spazio mai utilizzato prima. L’idea di Wait4Call è quella di sostituire il tradizionale segnale di attesa della telefonata con una pubblicità di pochi secondi. La startup di San Mauro Pascoli, con ramificazioni nei due incubatori emiliano-romagnoli CesenaLab di Cesena e Le Village di Parma, ha sviluppato il progetto grazie a un round di finanziamento e a una campagna di equity crowdfunding. Ora è pronta a fare il salto di qualità. Ci racconta come sta andando Gian Marco Boschi, founder insieme a Luca Legni di Wait4Call.
Boschi, ci racconta cosa fa Wait4Call?
La nostra è una piattaforma di digital audio advertising, Ci posizioniamo in uno spazio mai utilizzato prima cioè il tempo di attesa di una telefonata. Il funzionamento è semplice: tutti possono scaricare la app, ci si registra segnalando i propri interessi, che possono andare dal settore food alla moda passando per i viaggi, solo per fare qualche esempio. Mentre attendiamo che il nostro interlocutore ci risponda, invece che il classico tu tu abbiamo la possibilità di ascoltare uno spot che riguarderà una delle preferenze segnalate. Se non piace o non interessa la pubblicità si può skippare con un semplice movimento di smartphone. Accanto al canale audio ne abbiamo anche uno video rivolto a un target più giovane.
Che vantaggio ne trae un utente?
Il nostro incentivo è il guadagno. Per ogni spot che ascolta l’utente o che vede, l’utente ottiene un reward che noi chiamiamo cashback indiretto. Questo credito si accumula nel wallet dell’applicazione fino al raggiungimento di una soglia minima di 15 euro. A quel punto si può decidere se incassare la somma o se donarla a enti di beneficenza con i quali abbiamo stretto una partnership.
Come vi è venuta l’idea?
Volevamo creare un servizio che fosse conveniente tanto per le imprese, quindi agli inserzionisti, quanto al pubblico cioè alle persone che interagiscono con l’annuncio pubblicitario. Per farlo abbiamo deciso di buttarci in un settore in espansione come è quello del digital audio. Negli ultimi tre o quattro anni è cresciuto in maniera esponenziale e di conseguenza anche il digital advertising. Stiamo andando verso un contesto audio first, prefiguriamo pertanto un ambiente in cui c’è margine per eccellere. Basta vedere il successo dei podcast, degli smart home speaker e come i social stiano investendo nell’audio.
Chi c’è dietro Wait4Call?
Il nostro team è composto da cinque persone a cui si aggiungono collaboratori esterni. L’idea di ottimizzare questo spazio è venuta a Luca Legni. Me ne ha parlato e abbiamo intrapreso questa avventura insieme nel 2019. Lui è un creativo che avevo conosciuto in una precedente esperienza professionale. Io ho una laurea magistrale in economia e management e un master in internazionalizzazione di impresa. Anche se in una startup all’inizio tutti fanno quel che c’è da fare, sono tecnicamente quello che potremmo definire CFO mentre Luca è il CEO.
La vostra startup è nata poco prima che la pandemia travolgesse tutto il mondo. Come ha inciso il Covid sui vostri piani?
All’inizio stava andando tutto molto bene ma bisogna ammettere che la pandemia ci ha decisamente messo i bastoni tra le ruote. Abbiamo perso tanto di quello che avevamo investito, senza considerare a tutti gli eventi di presentazione che avevamo programmato nel corso del 2020. Non ci siamo dati per vinti, quindi abbiamo ricominciato a ragionare sul progetto, facendo più test e cercando di concentrarci sul prodotto. Una volta tornati alla normalità, se così possiamo definirla, abbiamo potuto stringere collaborazioni e abbiamo trovato clienti. In poche parole, abbiamo cominciato a fatturare: anche se poco, voleva dire essere partiti. Dopo questa prima risposta del mercato, ci siamo resi conto che avevamo la necessità di fare determinati investimenti sia a livello tecnico che a livello di comunicazione e marketing. Abbiamo quindi trovato un business angel che ci ha supportato in questa fase e abbiamo deciso anche di intraprendere una campagna di equity crowdfunding sulla piattaforma WeAreStarting.
Come è andata la campagna?
Ci abbiamo pensato a fine 2020. Ci interessava l’aspetto promozionale della campagna più della raccolta fondi in sé. E i fatti ci hanno dato ragione: il crowdfunding è un mezzo di comunicazione potentissimo. Il nostro obiettivo era farci conoscere e ci siamo riusciti. Avevamo confezionato un video professionale girato molto bene che ha avuto un’ottima visibilità anche attraverso i social. Sono arrivati migliaia di click, di condivisioni e soprattutto persone che hanno materialmente scaricato la app.
Quanto avete raccolto?
L’obiettivo minimo che ci eravamo prefissati era di 50mila euro, noi ne abbiamo raccolto più più di 60mila. Siamo riusciti a portare a casa il risultato nonostante i vari lockdown. Con il denaro raccolto siamo riusciti a mettere a punto la nostra piattaforma che è pronta e funzionante. Abbiamo clienti paganti e oltre 10mila utenti. Per questo adesso è arrivato il momento di fare il salto.
Cosa vuol dire per Wait4Call fare il salto?
Ora stiamo vendendo il servizio attraverso agenzie di comunicazione ma dobbiamo riuscire a entrare nel circuito programmatic audio e video. Il nostro modello di business è quello di vendita di spazi pubblicitari ma a differenza dei canali classici noi andiamo a redistribuire i nostri ricavi con gli utenti che ottengono una ricompensa a fronte di un ascolto audio o di una visualizzazione. La nostra piattaforma è pensata per essere self service, che dà la possibilità agli inserzionisti di caricare in autonomia la loro campagna, decidendo il budget e monitorando i dati con una dashboard personalizzata. Ora ci siamo noi a supporto ma l’obiettivo è quello di diventare come un qualsiasi strumento di digital marketing. Poi l’altra strada per crescere è ovviamente stringere accordi con grandi player. Al momento c’è una interlocuzione importante, quando avremo una proposta concreta ragioneremo sul da farsi.
Dai un consiglio a quelli che stanno pensando di fondare una startup.
Innanzitutto bisogna avere coraggio. Ho fatto un intervento all’università di recente e anche lì mi hanno chiesto «come si parte?». Quello che consiglio sempre è di affidarsi agli enti che sul territorio si occupano di creazione di impresa o di rivolgersi agli incubatori dove si trovano persone che possono fornire un’ottima formazione di base. Ci sono dei mentor a cui chiedere consigli e altre startup con cui confrontarsi. Inoltre, le realtà a cui rivolgersi in Emilia-Romagna sono diverse. Uno startupper di fatto è un imprenditore che deve saperne di marketing, di sviluppo, di informatica, di digital, di fiscalità e di aspetti legali. Insomma, non ci si può improvvisare. Visto che la concorrenza è tanta, partire potrebbe essere già difficile. L’incubatore quindi diventa uno strumento utile per tanti motivi. Uno su tutti: possono davvero aiutare a capire come creare un business da un’idea.
Tutte le interviste realizzate per la rubrica Startup in the Net sono disponibili a questo link.