Startup in the Net 2020 - Intervista a Binary System

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Nel nome c’è la sintesi di una vision imprenditoriale immaginata all’inizio della storia della startup che ha intuito da subito le potenzialità di un mercato ancora tutto da inventare. Binary System nasce a Piacenza a cavallo tra il 2011 e il 2012 dalla scommessa che Roberto Toscani ha fatto sulle sue intuizioni e le sue competenze nell’ambito dei software per il trasporto ferroviario. Un percorso lungo, non senza imprevisti come spesso accade nei viaggi di questo tipo, arrivato a destinazione grazie alla tenacia di chi a tutti i costi non ha voluto perdere questo treno. Toscani, founder e CEO di Binary System, ci racconta le tappe salienti di un’avventura che si arricchisce di nuovi inizi come quello caratterizzato dall’acquisizione dell’azienda piacentina da parte di un grande gruppo internazionale.

Toscani, in poche parole, di che cosa si occupa Binary System?

Noi sostanzialmente produciamo e distribuiamo software as a service ovvero software on line sviluppati con tecnologie web e mobile e che quindi non devono essere installati presso il cliente. Ci rivolgiamo a un mercato ben specifico, quello del trasporto ferroviario che può essere di merci o di passeggeri. Offriamo una «famiglia» di prodotti, sei in totale, che abbiamo battezzato SoftRail: sono tutti software gestionali, ognuno con la sua specificità, che hanno il compito di aiutare a gestire le attività di impresa ferroviaria. Il nostro business inoltre ha un’impronta green e sostenibile dal momento che si dematerializzano i documenti cartacei che hanno da sempre connotato le attività del comparto.

Da dove viene l’idea di scommettere sul trasporto ferroviario?

È necessario fare una premessa: il mercato del trasporto ferroviario è relativamente giovane perché prima del 2001, anno di nascita delle prime imprese private del settore, tutto era legato alle Ferrovie dello Stato e anche i software erano stati sviluppati internamente dalla compagnia nazionale. Questo generava confusione tra le aziende private e gli spin off delle aziende pubbliche e ognuno si organizzava come meglio poteva. Io dalla mia sono sempre stato un informatico orientato alla telematica e fin da quando ero studente dell’ITIS ho guardato con attenzione al mondo del web che stava nascendo iscrivendomi a ingegneria delle telecomunicazioni al Politecnico di Milano. Prima di fondare la startup avevo a lungo collaborato come consulente per un’azienda che si occupava di un software gestionale. Tra le tante realtà diverse con cui avevo avuto modo di lavorare attorno al 2005 c’era anche un’impresa ferroviaria che aveva delle necessità che non venivano coperte. Con l’azienda con la quale collaboravo abbiamo cominciato a ideare soluzioni tailor made per quelle poche imprese ferroviarie esistenti all’epoca finché nel 2011 sono partito da solo.

E come è andata?

Ho creato un piccolo team di collaboratori e ho fondato la startup con Lorena Bentivoglio, mia moglie, che mi supportava per la parte economico-finanziaria e amministrativa. Dalla mia, ho capito da subito che se volevo fare l’imprenditore dovevo smettere di fare il tecnico. Nel 2012 ho cominciato ad assumere neolaureati e studenti freschi di diploma sfruttando le relazioni che avevo coltivato con l’ITIS di Piacenza che non solo avevo frequentato ma dove avevo anche avuto anche l’opportunità di insegnare. Ancora oggi il 90% delle persone che lavorano in Binary System sono al primo impiego: a mio avviso un giovane ha più flessibilità mentale per sopportare i continui cambiamenti ed evoluzioni di una startup.

Come è stato l’inizio?

Difficile. Quando è nata Binary System seguivamo altri quattro mercati oltre al ferroviario perché avevo messo insieme tutte le mie esperienze pregresse. Solo che di fatto si trattava di portare avanti quattro startup e si faceva fatica ad arrivare alla fine del mese. Poi nel 2014 ho deciso che era arrivato il momento di concentrarci solo sul ferroviario.

Come mai questa scelta?

In realtà in quell’anno pensavo di chiudere. Il mercato ferroviario non ci manteneva, c’era tanto da costruire e poco da guadagnare ma alla luce degli avvenimenti posso dire che si trattò di un investimento. Avevo chiesto un prestito alla banca: in cassa non c’erano neanche i soldi per pagare gli stipendi. A settembre sono però arrivati quei clienti che aspettavamo, cinque nello stesso momento. Finalmente era arrivata la svolta. Essendo partiti in anticipo su quel business, praticamente non avevamo concorrenti. Nel giro di un anno avremmo raggiunto il break even point: da lì la decisione di spegnere tutti gli altri rami di Binary System.

Cosa ha provato in quel momento?

Non lo so spiegare a parole. Pensavo sinceramente di avere fatto il passo più lungo della gamba. Ero un professionista che guadagnava molto bene e per fare impresa pensavo di avere messo a repentaglio la sicurezza della mia famiglia visto che avevo impegnato anche la casa. Sollevato forse è il termine migliore. Senza mia moglie questo non sarebbe accaduto: lei non ha mai dubitato di me e ci siamo sempre fatti forza l’uno con l’altra sul lavoro e nel privato.

La startup ha avuto un percorso un po’ «vecchio stile».

I tempi erano diversi ma ammetto anche le mie responsabilità. Ero una persona giovane orientata all’innovazione, mi sarei dovuto guardare meglio in giro e accorgermi di opportunità e strumenti che c’erano a disposizione. Nel 2014, prima del sospiro di sollievo, siamo entrati in contatto con ART-ER grazie alla partecipazione a un bando regionale che prevedeva, oltre a un contributo parte a fondo perduto e parte finanziato, anche l’iscrizione al network delle startup innovative. Così ho scoperto un mondo che non conoscevo. Sempre grazie a un’iniziativa della Regione Emilia-Romagna nel 2016 ho avuto l’occasione di partecipare a un programma in Silicon Valley: è lì che ho capito davvero cosa significasse essere un imprenditore.

Ci racconti in che modo.

Ho avuto modo di stare lì 15 giorni e devo dire che quell’esperienza, soprattutto umana, mi ha completamente trasformato. Mi sono reso conto che alla fine io continuavo a sentirmi un tecnico. Sono tornato a casa con un bagaglio pieno di strumenti da utilizzare nella mia startup: avevo acquisito una maggiore consapevolezza ma soprattutto era cambiato il mio approccio mentale all’impresa.

Quali sono stati i primi passi?

Ho cominciato a reinvestire gli utili dell’azienda, ora sapevo come farlo. I debiti erano stati ripagati e c’era l’entusiasmo e la voglia di crescere ancora di più. Abbiamo creato nuovi prodotti e abbiamo cominciato un’operazione di internazionalizzazione anche grazie ad ART-ER. Eravamo inseriti in un network europeo di startup che ci è stato molto utile. Fino a quel momento i clienti erano arrivati per passaparola ma l’evoluzione ci ha portato ad avere clienti in sei paesi in Europa: oltre all’Italia, eravamo presenti in Germania, Francia, Austria, Belgio e Lituania. Tutto questo ha fruttato a Binary System una crescita lineare del 30% fino alla fine del 2018. A quel punto era necessario fare un ulteriore passo avanti ma mi rendevo conto che non avevamo l’organizzazione per farlo.

Il 2018 è stato l’anno di un’altra svolta importante per Binary System?

L’azienda aveva superato i due milioni e mezzo di fatturato, eravamo in venti ma eravamo lontani dall’essere una grande azienda. Quasi per gioco ho cominciato a spargere la voce che ero pronto a farmi da parte: per la fine di quell’anno avevamo sul tavolo ben quattro offerte da valutare. Ad aprile del 2019 abbiamo venduto a una società canadese che si chiama Volaris Group che a sua volta fa parte di Constellation Software Corporated, un gruppo quotato in borsa a Toronto.

Perché proprio a loro?

Volaris Group è un gruppo fondata da venture capitalist che mira a irrobustire l’azienda per farla diventare un gioiellino non da vendere ma da tenere per arricchire il portfolio. L’azienda diventa redditizia e con quei soldi si possono continuare ad acquisire altre società. Noi avevamo il profilo adatto per loro e viceversa. Si è trattata di una exit all’americana: hanno comprato il 100% dell’azienda senza cambiare nulla. Questo ci ha permesso di fare il salto di qualità. Se il sodalizio è riuscito è anche grazie a quell’esperienza in Silicon Valley. Basti pensare che nel 2019, l’anno dell’acquisizione in cui statisticamente l’azienda perde o cala, noi abbiamo avuto il fatturato migliore. E nel 2020, l’anno del Covid, non solo stiamo toccando il +22% ma abbiamo aperto una sede anche in Francia, la prima di una lunga serie. Nel 2021 Binary può contare sulla collaborazione di 40 persone, tra dipendenti e consulenti.

Siete diventati una multinazionale?

Tecnicamente preferisco dire che facciamo parte di un gruppo internazionale molto solido e ci stiamo espandendo all’estero. Proprio quest’anno abbiamo vinto una commessa molto importante per la gestione del materiale rotabile - i treni - delle  due  compagnie ferroviarie Thalys e Eurostar, quelle che permettono di viaggiare sotto la Manica mettendo in comunicazione Bruxelles con Londra.  È la gara più grossa vinta da Binary System da quando esiste, resa possibile proprio grazie alla forza della nostra realtà.

Che consigli darebbe a un giovane imprenditore?

Di non fare come ho fatto io. Di informarsi bene e di approfittare di tutti gli strumenti che un territorio come l’Emilia-Romagna può offrire. La nostra fortuna è stata fondare la startup a Piacenza: le regioni limitrofe possono anche essere più ricche ma non ci sono le stesse opportunità come le attività di accompagnamento, fondamentali per orientarsi specialmente i primi tempi. Ora il contesto è diverso, ci sono più soldi a disposizione e certi percorsi sono più facili. Tuttavia io consiglio sempre di non avere fretta. L’esperienza è importante non solo per fare profitto ma anche per imparare a gestire il dialogo con tutti i soggetti che ruotano attorno a una startup. Bisogna prendersi del tempo e farsi le ossa in un’azienda. Il prodotto da solo potrebbe non bastare: il rischio è quello di andare a sbattere e farsi male.

 


Tutte le interviste dell'edizione 2020 di Startup in the Net sono disponibili a questo link.

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