Startup in the Net 2019 - Intervista a weAR

weAR

La rubrica Startup in the Net raccoglie una serie di interviste realizzate a startup innovative iscritte a EmiliaRomagnaStartUp e che ART-ER segue nel loro percorso di sviluppo e crescita.


Uno smartphone in tasca pesa di sicuro meno di un manuale d’uso ed è sicuramente più a portata di mano del collega che ti dà la dritta giusta per ripristinare il funzionamento di un macchinario da riparare. Secondo Emanuele Borasio questo è un compito che può svolgere la realtà aumentata e lo dimostra ogni giorno con il successo della sua startup.

weAR è il nome scelto per raccontare con un gioco di parole parte della mission imprenditoriale: da un lato si allude a tutta quella gamma di wearable devices (come gli smart glass o gli smart watch) che ci proiettano in un mondo connesso, ma la pronuncia rimanda all’idea di "esserci", non solo con uno strumento indossato al polso, ma a fianco dell’azienda che si avvale di servizi della startup.

Noi vediamo la realtà aumentata come una forma di comunicazione” sentenzia Borasio che di weAR è CEO, “in particolare per noi è una scorciatoia per arrivare al risultato.

Il risultato in questione è ovviamente il risparmio di tempo e denaro di un’azienda che si trova a dover fronteggiare il passaggio di competenze tra un dipendente senior e uno alle prime armi.

Marko è il primo prodotto della startup fondata a Ferrara nel 2014 dall’imprenditore a capo di un team composto da una decina di persone. Classe 1971, Borasio ha in tasca una laurea in geologia e una specializzazione in geomatica.

Una decina di anni fa mi sono appassionato a quei software che potevano elaborare immagini” spiega ricordando come ha cominciato “Mi sono reso conto che questi algoritmi potevano aiutarci a interpretare anche il mondo che ci circonda”.

Erano gli albori della realtà aumentata: per la prima volta puntando un telefono su un oggetto si potevano ricavare informazioni. La prima esperienza imprenditoriale dello startupper piegava quel gesto al marketing finché non si è accorto che, oltre che a vantaggio del consumatore, questa nuova tecnologia poteva trovare applicazione nel mondo del lavoro.

Nel grande panorama della realtà aumentata, quello che mancava era una piattaforma che potesse aiutare le persone a lavorare meglio tutti i giorni” specifica Borasio. “Siamo in un momento storico, soprattutto qui in Italia, in cui molte persone stanno andando in pensione e si rischia di disperdere il loro enorme bagaglio esperienziale. Marko è una piattaforma molto semplice che consente alle aziende di sfruttare la realtà aumentata senza la necessità di ingaggiare uno sviluppatore” chiarisce l’imprenditore, “è come se l’utente senior mettesse dei post-it virtuali direttamente sull'oggetto reale: una volta assemblato il manuale, si manda tutto nel cloud e diventa così fruibile a tutti quelli che ne hanno bisogno.

In poche parole weAR cambia il canale comunicativo da cartaceo a digital.

La startup è partita con la partecipazione del fondo ClubItaliaInvestimenti 2, di Aruba Spa e del Gruppo Digital360.it. Ora la strategia è quella di avere una rosa di clienti limitata, ma di prestigio, che permetta alla startup di rafforzare la propria posizione presentandosi al mercato estero con le spalle coperte e un prodotto competitivo.

All’inizio abbiamo sbagliato il target rivolgendoci alle piccole imprese” confessa Borasio, col senno di poi “I clienti a cui abbiamo mirato successivamente ci hanno aiutato a migliorare il prodotto.

Enel, Aeronautica Militare e ora Vodafone che ha concesso un cospicuo finanziamento per sviluppare un secondo prodotto che viaggi con il 5G, sono i nomi che può vantare weAR nel suo curriculum.

Dai nostri clienti ci arrivano continuamente problemi da risolvere: questo ci permette di essere molto creativi perché ogni volta dobbiamo trovare una soluzione, ma al contempo abbiamo modo di fare molta esperienza con realtà che sono il top della tecnologia in Italia” riconosce l’imprenditore molto corteggiato all’estero. “Grazie alla Regione Emilia-Romagna e ad Aster ho avuto la possibilità di andare in Silicon Valley: lì è più facile proporre qualcosa di disruptive, in Italia è più complicato” dice Borasio. “Ma non c’è solo la Silicon Valley” rivela l’imprenditore “A Hong Kong ho avuto modo di fare un pitch di fronte a un fondo di investimento di Alibaba: i fondi di venture capital all’estero sono disposti a investire su una una startup come weAR, ma nel mio piccolo voglio tentare una scalata in Italia. Qui ci hanno dato fiducia” aggiunge Borasio, con gratitudine.  “È vero, fare impresa in Italia è difficile e girano meno soldi” ammette “la mia tuttavia è una visione a lungo termine: in quest’ottica mi sembrerebbe davvero un peccato mollare tutto e andare in un altro paese.

Scopri di più su weAR ed entra in contatto visitando la loro scheda dedicata nella nostra sezione Startup Associate cliccando sul banner qui sotto.

Se vuoi conoscere le startup intervistate per la rubrica Startup in The Net, dai uno sguardo alla galleria 2019.

 

 

Autore: Giorgia Olivieri, giornalista freelance. Si occupa di creazione di impresa dal 2003 avendo curato progetti di comunicazione per Progetti d'impresa, per BAN Bologna, per la Città Metropolitana di Bologna, per Incredibol e per Almacube. Collabora con Art-ER dal 2017 su vari progetti tra cui StartCup Emilia-Romagna.

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