Startup in the Net 2021 - Intervista a Spiiky

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La rubrica Startup in the Net raccoglie una serie di interviste realizzate a startup innovative iscritte a EmiliaRomagnaStartUp e che ART-ER segue nel loro percorso di sviluppo e crescita.


L’idea di rivoluzionare il business dei coupon è nata una sera a cena quando un gruppo di amici ha pensato di fondare una startup per mettere in discussione quel modello. Si chiama Spiiky la piattaforma creata nel 2014 nel modenese che consente agli utenti di risparmiare e agli esercenti di ottenere visibilità.

Una storia imprenditoriale caratterizzata dalla tenacia del team che, dopo anni di montagne russe in cui la pandemia ha fatto la sua parte, ora può puntare alla crescita grazie all’acquisizione da parte di Amilon, una società del Gruppo Zucchetti. Ci racconta i dettagli Matteo Manelli, CEO e co-founder della startup.

Manelli, cosa è successo in quella famosa cena?

In realtà, quando abbiamo iniziato volevamo dedicarci a un sito di aggregazione di eventi. Poi però una sera siamo andati a mangiare in un ristorante sfruttando uno di quei famosi coupon e abbiamo passato una serata terribile, trattati come clienti di serie B. Abbiamo quindi cominciato a studiare il modello e insieme a Marcello Maletti, Simone Barbolini e Matteo Venturelli ci siamo resi conto che in quel sistema c’erano un sacco di falle che scontentavano sia il cliente che l’esercente.

Cosa fa Spiiky di diverso dalle piattaforme?

Abbiamo creato una semplice vetrina in cui i due soggetti, cliente ed esercente, dialogano direttamente tra di loro. Noi forniamo un account agli esercenti che pubblicano le proprie offerte in autonomia. L’utente geolocalizzato le trova, le scarica e si reca nel punto vendita e paga solo quando effettivamente usa l’offerta. Ogni volta che lo fa, ottiene anche un cashback quindi il sistema di fidelity è abbastanza premiante.

Come avviene materialmente questo passaggio?

Noi facciamo push lato utente che spinge l’esercente a confermare l’utilizzo del coupon attraverso l’app perché altrimenti non ottiene il cashback. L’utente pertanto è contento perché ha dei vantaggi senza doversi esporre economicamente prima. L’esercente è altrettanto soddisfatto perché incassa subito e, in un secondo momento, paga noi a 30 giorni con rid bancario. Inoltre, a differenza delle altre piattaforme, le nostre provvigioni sono basse e non imponiamo una scontistica dato che il prezzo lo decide il cliente. Per un negozio o un ristorante diventiamo una sorta di volantino promozionale. Se non c’è qualità e si lavora sottocosto, il rischio è quello di trasformare un investimento in marketing in disinvestimento. La nostra formula funzionava: siamo cresciuti in maniera costante con un +50% l’anno, con picchi di 80%, raggiungendo 15mila aziende per 500mila utenti. Poi purtroppo è arrivato il Covid.

Cosa è successo a quel punto?

Il 2020 doveva essere l’anno della consacrazione perché noi non vogliamo rimanere un’eterna startup. Eravamo quindi sul punto di fare il salto di qualità, espandendoci su tutto il territorio emiliano-romagnolo. Nel giro di qualche mese, invece della crescita auspicata, ci siamo ritrovati a fatturato zero. A quel punto abbiamo pensato di lanciare una campagna di crowdfunding nel settembre del 2020. Senza la pandemia probabilmente non l’avremmo presa in considerazione. Dal 2015 in avanti abbiamo avuto diversi round di finanziamento da parte di business angels privati che facevano parte di un nostro network personale. Il nostro obiettivo è sempre stato quello di arrivare un giorno a camminare sulle nostre gambe. Avevamo investito molto sullo sviluppo della app, sulla rete commerciale, sul marketing e sul digital advertising.

Come è andata la campagna di crowdfunding?

È partita molto bene poi un nuovo lockdown ci ha fatto capire che non avremmo raggiunto l’obiettivo minimo. Abbiamo sempre pensato che iniziative di questo tipo danno molta visibilità e molti contatti. Sul mancato successo della nostra campagna ha pesato la pandemia. Il momento che sembrava sfortunato alla fine però si è rivelato positivo. In quel periodo si è aperto un canale con un nostro fornitore che stava cercando uno sfogo B2C per le proprie attività. Quel contatto è sfociato in un’acquisizione. Si tratta di Amilon, una società del Gruppo Zucchetti che in Italia opera nel settore della distribuzione di gift card e buoni digitali.

Questo vi ha permesso di rilanciare, riprendendo un discorso là dove si era interrotto?

C’è stato un lungo dialogo prima di arrivare all’acquisizione. Innanzitutto bisognava vedere se i due business matchavano, come si dice nell’ambiente. Dopo la fase conoscitiva, siamo passati a una valutazione di tipo economico in cui abbiamo definito i cardini della trattativa. Alla fine Amilon ha acquistato il 51% della nostra società con un piano di exit a quattro anni, che si può concretizzare oppure no. Avevamo bisogno di una bella iniezione di fiducia, non solo di denaro. Per un business come il nostro stare fermi un anno e mezzo è troppo. Ora la macchina sta ripartendo, lentamente ma con soddisfazione. Noi abbiamo l’ambizione di far diventare Spiiky una piattaforma nazionale e con questa sinergia vogliamo far sì che il famoso 1+1 diventi 3.

Quali sono i progetti che avete messo in campo, oltre a quello dell’espansione su scala nazionale?

Stiamo lavorando per trasformare Spiiky sempre più un sito di cashback a tutti gli effetti dando la possibilità ai nostri utenti di risparmiare sui loro acquisti quotidiani sia che acquistino grandi brand sia in piccoli esercenti.

Da startupper ad aspirante startupper: un bilancio e un consiglio.

Spiiky è la classica startup che alterna momenti tragici a grandi entusiasmi. La nostra storia non è eccezionale: la startup è un’azienda che per crescere ha sempre bisogno di finanziamenti e quando poi ti trovi davanti un intoppo grande come il Covid, l’epilogo può essere drammatico. Ma ci sta, fa parte del gioco. Per quanto riguarda il consiglio invece invito a non credere che l’idea sia il 90% del successo di un’azienda. È un errore che si commette ma quando si fa impresa ci si rende conto che l’idea alla fine non conta praticamente nulla. Quello che fa la differenza è il lavoro. Bisogna avere la forza e la volontà di rimanere sempre sul pezzo sapendo che per vedere i risultati serve tanto tempo. Quelle storie in cui uno fa una app e il giorno dopo hai già 500mila utenti si vedono solo nei film. Se uno crede che basti avere avuto un’idea geniale, allora è meglio che vada a fare altro.


Tutte le interviste realizzate per la rubrica Startup in the Net sono disponibili a questo link.

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