Startup in the Net 2023 - Intervista a Mysurable

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La rubrica Startup in the Net raccoglie una serie di interviste realizzate a startup innovative iscritte a EmiliaRomagnaStartUp e che ART-ER segue nel loro percorso di sviluppo e crescita. Per l'edizione 2023 abbiamo intervistato le startup selezionate dai programmi di accelerazione promossi da CDP Venture Capital Sgr - Fondo Nazionale Innovazione. 


Marco Domenicali parla di soluzioni pensate per un «invecchiamento di successo». Il founder di Mysurable usa poche e semplici parole per definire il core business della startup fondata nel 2018 dopo anni di ricerca in campo geriatrico. Selezionati da Next Age, il primo programma di accelerazione in Europa dedicato alla Silver Economy, la startup spin-off partecipata dall’Università di Bologna è impegnata nello sviluppo della rete commerciale per entrare definitivamente sul mercato, nel reperimento di fondi per lo sviluppo di nuove soluzioni e di eventuali partner industriali. Ci racconta i dettagli proprio Marco Domenicali, co-founder e presidente della società, direttore della Scuola di Specializzazione di Geriatria dell’Università di Bologna.

Domenicali, di che cosa vi occupate?

Sviluppiamo soluzioni per riconoscere precocemente la sarcopenia, sarebbe a dire la perdita di massa muscolare che si verifica durante l'invecchiamento. La sarcopenia è una delle cause principali della fragilità dell'anziano. Non si tratta solo di avere una maggiore difficoltà nei movimenti ma con la perdita di massa muscolare è più difficile respirare, parlare, masticare e deglutire e inoltre è più facile cadere.

Come le è venuta l’idea?

Insegno medicina interna e geriatria all’Università di Bologna e da molti anni mi occupo di valutazione di pazienti fragili. So bene quanto sia difficile trattare la fragilità: gli anziani sono molti e pochi i geriatri. C’è quindi un problema di competenze: l’anziano non solo va inquadrato da un punto di vista medico ma è necessario fornire consigli nutrizionali e suggerimenti circa l’attività fisica. Va da sé che trattare le patologie nel miglior modo possibile è costoso e di difficile applicazione. Per questo ho cominciato a pensare a come farlo da remoto. Ne ho parlato con un amico ingegnere elettronico, Enrico Lenzi, con il quale abbiamo sviluppato la prima soluzione che prevedeva un impendenziometro appositamente sviluppato per la misurazione della massa muscolare nei soggetti ultra sessantenni in grado di interagire direttamente con il nostro software cloud senza bisogno di installare software aggiuntivi, una tecnologia che abbiamo brevettato con l’Università di Bologna.

Quando abbiamo visto che funzionava, siamo diventati spin-off ma al team mancava qualcuno che fosse esperto di business. Abbiamo coinvolto mio fratello Antonio, imprenditore, e poi è arrivato il quarto founder, Riccardo Piccioli, un manager di grande esperienza con importanti società nel suo curriculum.

Come funziona la vostra soluzione?

Abbiamo messo a punto una web application con un device che scarica dei dati direttamente nel cloud senza bisogno di installare software. La soluzione somministra una serie di domande molto semplici e grazie ad algoritmi appositamente sviluppati anche grazie a tecniche di intelligenza artificiale si riesce anche a profilare il paziente in maniera accurata. Tutto è pensato per mettere nelle condizioni di fare una valutazioni di persone che non hanno competenze specifiche in campo geriatrico: fornendo un referto personalizzato con i problemi rilevati sono in grado di dare suggerimenti per trattarli. 

Quale è stata la prima applicazione del vostro prodotto?

I primi prodotti sviluppati erano pensati per screening in farmacia in modo tale che il farmacista potesse suggerire anche il tipo di integrazione alimentare più adatto al caso del paziente. Abbiamo testato il prodotto in Valsamoggia con più di 500 soggetti durante il lockdown: è stato un test molto importante perché lo abbiamo fatto in un periodo di emergenza in cui andare in ambulatorio era difficile, portandoci avanti sul fronte della telemedicina.

Avete anche altri prodotti?

Oltre a quello per lo screening in farmacia, ne abbiamo uno destinato alle strutture per anziani che non valuta solo la sarcopenia ma anche la malnutrizione proteica, molto frequente nell'anziano. Questa è una delle principali cause di sarcopenia perché l'anziano, per mille motivi, mangia poche proteine. Viene valutata anche la disfagia, cioè la difficoltà di deglutire il cibo. Purtroppo i muscoli ci servono anche per masticare quindi quando uno perde massa muscolare fa più fatica a farlo e si genera un circolo vizioso per cui si perde massa muscolare, si mangia poco, si assumono poche proteine e come conseguenza si perde ancora massa muscolare. È questo il percorso che porta lentamente l’anziano alla disabilità.

Il terzo prodotto è rivolto agli ambulatori. È una soluzione più completa in grado di compiere anche l’analisi dei sintomi gastrointestinali. Purtroppo dopo i cinquant’anni spesso si sviluppano problemi che disturbano la digestione come ad esempio il reflusso gastroesofageo, in questo caso è necessaria una ulteriore personalizzazione dei consigli dietetici ha bisogno di consigli  nutrizionali ancora più personalizzati. Riassumendo, abbiamo pensato tre prodotti per tre fasce di utenti: c’è il paziente più giovane che vuol fare prevenzione e va in farmacia; c’è il paziente un pochino più anziano o con problemi digestivi, però autosufficiente ed in apparente buona salute , che vive a domicilio e va in ambulatorio e il paziente invece più grave, ospite di una struttura protetta.

A che punto siete?

Abbiamo tre prodotti validati. L’ultimo test è finito proprio qualche settimana fa. Il nostro modello di business è B2B: vogliamo fornire strumenti adeguati a strutture che hanno a che fare con l’invecchiamento ma che non hanno a bordo competenze geriatriche. Faccio un esempio. Con la nostra tecnologia, l’ortopedico che esegue un intervento di protesi d’anca può profilare il paziente anche senza il geriatra accanto anche sugli altri aspetti che non sono quelli strettamente legati all’operazione. Tenere d’occhio la massa muscolare serve per rendere più efficace la fase riabilitativa.

Cosa prevede la vostra road map?

Entro l’anno vogliamo iniziare la commercializzazione del prodotto rivolto alla prevenzione in farmacia e di quello per le strutture per anziani. Stiamo inoltre valutando dei contatti nel mercato estero perché il nostro software si presta all’internazionalizzazione.

Che tipo di supporto vi ha fornito ART-ER?

Ci siamo conosciuti subito dopo la nostra costituzione e da allora ci forniscono informazioni sulle varie iniziative presenti sul territorio e sui bandi aperti a cui possiamo partecipare. Siamo in un territorio dove l’ecosistema dell’innovazione funziona e quindi essere inseriti in un network così importante per noi ha un grande valore.

Mysurable ha sede ad Almacube. Che ruolo ha giocato l’incubatore nello sviluppo dell’impresa?

Un ruolo molto importante. Noi tra l’altro siamo co-incubati anche a I3P perché l’incubatore del Politecnico di Torino ha delle competenze più verticali sulla medicina basata sulle tecnologie cloud. Inoltre siamo stati selezionati per EIT Health, un progetto europeo di incubazione di startup che si occupano di anziani e abbiamo vinto un premio della National Academy of Medicine negli Stati Uniti. Grazie al supporto dei due incubatori, abbiamo partecipato alla call per Next Age e siamo stati selezionati.

Come è andato il programma di accelerazione?

È stato un percorso molto impegnativo ma estremamente formativo. In cambio di una quota di capitale, abbiamo ricevuto un finanziamento iniziale di 100mila euro. Di questi oltre 60mila sono di consulenze personalizzate mentre con ciò che restava abbiamo migliorato la nostra piattaforma software. Ora siamo nella fase di fundraising e anche su questo si sta supportando Next Age nel dialogo con potenziali investitori.

Qual è il vostro fabbisogno al momento?

Ci servirebbero 400mila euro. Noi non abbiamo bisogno di grosse cifre perché quando ci siamo costituiti avevamo già un prodotto pronto. Tuttavia useremmo il finanziamento per far funzionare la nostra soluzione in maniera totalmente autonoma anche per il referto finale e per fare questo dobbiamo abbiamo bisogno di una certificazione per software medicale. Un’operazione complessa e anche piuttosto costosa ma questo ci renderebbe molto competitivi sul prezzo. Questo è un dettaglio importante: ci sono molti anziani e spesso non hanno risorse economiche adeguate, quindi soluzioni costose non sarebbero accessibili per i soggetti che ne avrebbero maggior giovamento sul.

Inoltre ci servirebbe una struttura commerciale più grande per intercettare strutture anche di grandezza media o medio piccola che possano diventare partner.

Partner di carattere industriale?

Anche. Siamo in un momento in cui è più difficile trovare investitori per via dei tassi di interesse alti. Quindi in questo momento siamo più orientati a cercare partner strutturati che abbiano voglia di fare con noi almeno un pezzo del loro cammino costruendo insieme soluzioni per rallentare la disabilità legata all’invecchiamento.

Una conclusione a cui siete arrivati da soli o anche grazie al supporto di Next Age?

In parte stiamo percorrendo questa strada col programma di accelerazione ma in parte stiamo facendo da soli grazie alle competenze acquisite grazie alla formazione del programma stesso. Come dice mio figlio dopo questa esperienza siamo skillati. Scherzi a parte, abbiamo qualche contatto aperto e spero proprio che il progetto vada in porto. Gioca a nostro favore anche la vicinanza con il distretto del biomedicale emiliano: questo in futuro potrebbe avere anche più rilievo di quello che ha ora e più in generale un territorio con aziende che si occupano di tecnologia nel campo specifico dell’Health care.

Come si trova nelle vesti di imprenditore?

Sto imparando tantissimo. Noi ricercatori siamo abituati a vedere l'inizio del processo di innovazione però poi lo abbandoniamo. É come se  a un certo punto l’applicazione nella vita delle persone non fosse più affar nostro. Io invece ho avuto modo di vedere tutto, dall’inizio «in garage» fino alla commercializzazione. E questo cambia anche la prospettiva mentre si sta in laboratorio. Vedere entrambe le facce della medaglia è utilissimo e a me, anche se mi considero un pessimo imprenditore, ha arricchito molto. Proprio perché non sono un imprenditore ho la fortuna di avere dei co-founders con grande esperienza tecnica ed imprenditoriale che mi aiutano quotidianamente a fare crescere Mysurable.

Cosa direbbe ai suoi giovani colleghi? Consiglierebbe loro di fare startup?

A lezione parlo molto di questi temi e con mia grande soddisfazione alcuni miei studenti hanno fondato la loro startup. Io consiglio di buttarsi ovviamente facendo prima bene i conti perché ci si può fare anche molto male da un punto di vista economico. Però è importante abbandonare la propria comfort zone anche quando si fa ricerca altrimenti non si fa innovazione.

Quello che la mia esperienza mi ha insegnato e che cerco di trasferire come insegnante è l’importanza del team multidisciplinare. Un’idea va condivisa tra professionisti con formazioni varie, senza esserne gelosi, perché frequentarsi tra persone con stesso background porta ad essere autoreferenziali si può sviluppare la soluzione più raffinata tecnologicamente ma poi il mercato deve conoscerla ed apprezzarla altrimenti l’azienda non si sviluppa e rimane un bel sogno e nulla di più. Per questo è importante partecipare a bandi o iniziative come la Start Cup Emilia-Romagna o R2B perché sono soprattutto esperienze di contamination. Chi viene dal mondo della ricerca rischia di vedere solo la sua molecola perdendosi però tutto quello che sta intorno.


Tutte le interviste realizzate per la rubrica Startup in the Net sono disponibili a questo link.

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