Startup in the Net 2020 - Intervista ad Angiodroid

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La rubrica Startup in the Net raccoglie una serie di interviste realizzate a startup innovative iscritte a EmiliaRomagnaStartUp e che ART-ER segue nel loro percorso di sviluppo e crescita.


Quando ha scoperto di aver vinto, non è riuscito a nascondere l’emozione non tanto per aver vinto un premio prestigioso e «sostanzioso» quanto per quella «vita che alla fine ricuce tutto». Vent’anni fa Sebastiano Zannoli, giovane neolaureato in ingegneria gestionale, per lavoro varcava la soglia del Gruppo Marzotto e in questi giorni Angiodroid, la startup da lui fondata, ha ricevuto il Company Prize del premio Gaetano Marzotto, uno dei più ambiti nel panorama dell’innovazione italiana. L’azienda con sede a San Lazzaro di Savena ha sviluppato il primo e unico iniettore automatico di anidride carbonica come mezzo di contrasto in angiografia periferica.

Sebastiano Zannoli, CEO di Angiodroid, ci racconta come è nata questa eccellenza del biomedicale tutta emiliano-romagnola.

Zannoli, come è nata Angiodroid?

L’idea è partita nel 2011 ed è nata dalla mia esperienza nel settore. Io mi occupo dal 1999 di consulenza di direzione e in quegli anni tra i miei clienti c’era un’azienda di Bologna, la Sias Spa, leader nella produzione macchinari per gli esami angiografici. Fino ad allora come mezzo di contrasto veniva usato lo iodio, un liquido che poteva arrecare danni a pazienti con insufficienza renale a causa del suo smaltimento attraverso le urine: un problema che poteva riguardare fino al 30% dei soggetti trattati. Sapevamo che negli Stati Uniti già da più di cinquant’anni si usava l’anidride carbonica ma anche in questo caso si riscontravano delle criticità: si usavano normali siringhe manuali che rendevano complicata la gestione il flusso del gas. Se si inietta gas nell’arteria troppo velocemente, il paziente sente dolore, muove l’arto e quindi compromette l’immagine angiografica. Serviva quindi un nuovo tipo di iniettore.

Cosa avete architettato a quel punto?

Nei primi anni Duemila avevo gestito un’azienda che produceva macchine ad aria compressa nell’ambito del fitness. Settori differenti ma problemi molti simili. Ho messo insieme un piccolo team di persone, mio fratello Samuele che è un fisico e due ingegneri biomedici appena laureati, e abbiamo lavorato ponendoci questa domanda: possiamo trasformare una leg extension quindi una macchina per il fitness in un iniettore angiografico? Siamo partiti da una tecnologia già esistente, ogni componente l’ho disegnata io stesso. Nella mia carriera avevo incontrato tantissime aziende meccaniche ed elettroniche, alcune sviluppavano macchine simili ma per applicazioni diverse. Abitando a Bologna, so che tra Modena e Imola posso trovare tutto ciò che mi serve nel settore della meccanica di precisione. È stato come giocare con i Lego: per la nostra macchina abbiamo utilizzato solo parti a catalogo, non abbiamo sviluppato neanche un pezzo. Ovvio che al macchinario serviva un cervello e quindi ci siamo impegnati nel software. A quel punto avevamo la prima macchina automatica in grado di iniettare anidride carbonica in arteria come mezzo di contrasto raggiungendo le stesse performance delle macchine che iniettano lo iodio.

Cosa è successo poi?

Abbiamo depositato un brevetto e nel 2012 abbiamo testato e validato il prototipo  in collaborazione con l’Università di Bologna. Nel 2013 abbiamo fondato Angiodroid srl, un’azienda che ad oggi ha installato oltre 500 iniettori non solo in Europa ma in tutto il mondo, da Sydney a Buenos Aires passando attraverso l’Asia. Abbiamo ottenuto la marcatura CE e 32 certificazioni internazionali per tutti i paesi più importanti. Ora siamo in corsa per completare la certificazione in Cina a cui seguirà quella per il Giappone. Inoltre nel 2021 contiamo di ottenere la certificazione dalla FDA: è  necessaria per introdurre i nostri prodotti nel mercato americano che da solo vale oltre il 35% del mercato globale.

Come si è finanziata la startup all’inizio?

In un primo momento ho investito in prima persona poi, una volta fondata la startup, sono riuscito a coinvolgere nell’arco dei primi tre anni tre fondi di investimento per un totale di 2,4 milioni di euro. Il primo è Italian Angels for Growth, il club di riferimento dei Business Angels nel nostro paese, il secondo è Metaventure: insieme hanno co-investito con il Fondo Ingenium della Regione Emilia-Romagna che ha permesso loro di raddoppiare il capitale per un totale di 1,9 milioni di euro. A questi si è aggiunto Innogest, il primo fondo di venture capital italiano, che ha messo su questa partita 500mila euro. Denaro ben investito visto che Angiodroid ora impiega in totale venti persone oltre a me e mio fratello, dal 2017 è profittevole e l’anno scorso abbiamo chiuso con un fatturato di 3,7 milioni di euro.

Oltre agli iniettori di anidride carbonica avete sviluppato altri prodotti?

Grazie a un contributo POR-Fesr a fondo perduto di 180mila euro abbiamo sviluppato un contropulsatore aortico che lanceremo nel 2021. Si tratta di un macchinario per supportare la funzione cardiaca in situazioni di emergenza.

Siete impegnati anche nella lotta contro il Covid-19.

Abbiamo partecipato al bando della Regione Emilia-Romagna per progetti che facessero fronte all’emergenza e abbiamo ottenuto un finanziamento di 120mila euro per sviluppare un ossigenatore smart. Si tratta di un apparecchio che i pazienti Covid con difficoltà respiratorie possono utilizzare da casa inviando i parametri di controllo via internet al medico o alla struttura che lo ha in carico senza il rischio di contagio per gli operatori sanitari. Stiamo completando in questi giorni la fase di messa a punto del dispositivo, poi partirà la fase di validazione che dovrebbe concludersi entro fine gennaio.

Come vi è venuto il lampo di genio?

Nei giorni critici del primo lockdown ci siamo confrontati per capire come potevamo essere d’aiuto. Avevamo il know how tecnico per gestire e controllare i gas e in più avevamo un prototipo di una macchina per creare ossigeno. Abbiamo deciso di partire da lì: al di là del Covid, supportare le persone con patologie polmonari con macchine di questo tipo sarà necessario anche quando ci lasceremo la pandemia dietro le spalle, specialmente ora che andiamo verso la telemedicina.

Avete condiviso quello che sapete fare. Le opportunità bisogna anche saperle cogliere.

Quanto varrà questo mercato ce lo potrà dire solo il futuro. Tuttavia io credo che un’azienda come la nostra debba crescere anche ampliando il catalogo, non possiamo pensare di crescere solo perché aumentiamo il numero dei clienti dello stesso prodotto. La nostra strategia si deve espandere su un piano piuttosto che su una linea: raggiungere un obiettivo è più facile se ci si può muovere su traiettorie diverse e non andando solo o avanti o indietro.

Arriviamo al Premio Marzotto. Un riconoscimento davvero importante, non solo a livello finanziario.

Non mi piace parlare molto di premi ma non posso nascondere la soddisfazione. Siamo tra le startup cresciute di più nel segmento di riferimento secondo Deloitte e il mese scorso abbiamo vinto anche il concorso Open Innovation PMI indetto da Bernoni Grant Thornton per la resilienza al Covid-19. Ora il Marzotto che ci dà l’opportunità di ricevere anche un finanziamento di 300mila euro. Il premio inoltre ha una portata emotiva non indifferente: mi ha fatto pensare a quanta strada ho fatto in questi vent’anni…

Che consigli darebbe a un giovane che voglia intraprendere un’avventura come la sua?

Di costruirsi un bagaglio di conoscenze in azienda prima di fondare una startup. Certi processi vanno vissuti e bisogna vedere come funziona un’impresa prima di buttarsi. Io poi personalmente penso che le startup debbano essere incubate nelle aziende leader del territorio più che nelle università o in altre istituzioni pubbliche o private. Sarebbe un modo per crescere più velocemente e sfruttare un’infrastruttura già esistente.

Questo territorio è pronto per un’iniziativa del genere?

Secondo me ci sono dei segnali interessanti, in Lombardia hanno già cominciato a cambiare prospettiva. Quello che manca forse è una cultura condivisa che, grazie a una buona attività di networking, metta insieme le startup e chi vuole fare innovazione condividendo il successo ma anche l’insuccesso di questa iniziativa. Il problema è che spesso le aziende sono gelose del loro patrimonio e del loro know how però è anche vero che si ritrovano a vendere gli stessi prodotti per vent’anni. Sono poche le aziende che fanno vera innovazione. Noi abbiamo avuto anche una mano da ART-ER che ci ha sempre tenuti informati e nei momenti giusti ci ha dato il contributo che ci serviva. Da soli non si va tanto lontani.

Lei si impegnerebbe in prima persona?

Se ne avessi l’opportunità non mi dispiacerebbe accompagnare qualcuno che ha una bella idea e non sa come svilupparla. Noi intanto il nostro lo facciamo producendo tutto sul territorio emiliano-romagnolo. Ogni macchina che esce targata Angiodroid è stata pensata, assemblata, confezionata e collaudata in regione. Ci tengo a dirlo perché mi sono impegnato a mantenere non solo l’organico ma anche buona parte dell’indotto qui. Lo voglio fare per dimostrare gratitudine verso chi all’inizio mi ha dato fiducia e continua a farlo ancora oggi.


Tutte le interviste dell'edizione 2020 di Startup in the Net sono disponibili a questo link.

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