Il contratto di collaborazione coordinata e continuativa, detto anche lavoro parasubordinato, è citato dal n. 3 dell’art. 409 c.p.c., ed è un contratto di lavoro autonomo che presenta alcune caratteristiche del lavoro subordinato.
L’art. 2 del D.Lgs. 81/2015 ha previsto che (…) ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro, si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato.
Tale disposizione (ossia l’applicazione della normativa del lavoro subordinato ai contratti di collaborazione coordinata e continuativa) NON si applica a determinate fattispecie, tra le quali quelle di cui alla lettera c), ossia:
alle attività prestate nell'esercizio della loro funzione dai componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società e dai partecipanti a collegi e commissioni.
Pertanto, con l’accettazione della nomina di Amministratore Unico, verosimilmente deliberata dall’Assemblea dei Soci, si instaura, tra il medesimo Amministratore e la Società, un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa.
Tuttavia, occorre segnalare che la sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione, n. 1545 del 20 gennaio 2017, ha sancito che il rapporto esistente tra amministratore e società non rientri tra i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa. Infatti, ha definito tale rapporto quale “rapporto societario” e non più come “parasubordinato”, con tutte le implicazioni del caso. (Non ultima, il mancato riconoscimento da parte dell’Inps, nei confronti degli amministratori, dell’indennità dei 600 euro “Covid” relative al mese di marzo 2020)
La figura dell’amministratore unico non è contemplata dall’art. 1, comma 203 della legge 662/1996, la quale prevede che è considerata “commerciale” (e quindi potenzialmente “iscrivibile” alla gestione commercianti Inps) un’attività che viene esercitata dai soggetti che:
“(…)
a) siano titolari o gestori in proprio di imprese che, a prescindere dal numero dei dipendenti, siano organizzate e/o dirette prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti la famiglia, ivi compresi i parenti e gli affini entro il terzo grado, ovvero siano familiari coadiutori preposti al punto di vendita;
b) abbiano la piena responsabilità dell'impresa ed assumano tutti gli oneri ed i rischi relativi alla sua gestione. Tale requisito non è richiesto per i familiari coadiutori preposti al punto di vendita nonché per i soci di società a responsabilità limitata;
c) partecipino personalmente al lavoro aziendale con carattere di abitualità e prevalenza;
d) siano in possesso, ove previsto da leggi o regolamenti, di licenze o autorizzazioni e/o siano iscritti in albi, registri o ruoli”