La retribuzione di un lavoratore dipendente (ancorché socio di una Startup Innovativa A Vocazione Sociale) rappresenta la controprestazione erogata dal datore di lavoro (Società) per lo svolgimento dell’attività lavorativa.
L’art. 2099 c.c. prevede che la retribuzione (…) deve essere corrisposta nella misura determinata dalle norme corporative (…) e in mancanza di queste, o di accordo tra le parti, viene determinata dal giudice. L’art. 36 della Costituzione prevede che il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa.
Alla luce di quanto sopra, prima facie, sembrerebbe che in presenza della volontà delle parti, sia possibile stabilire “liberamente” una retribuzione proporzionata alla quantità etc..
Invece, tralasciando il percorso normativo, consuetudinario, il sostegno politico-sociale del Legislatore e della Giurisprudenza a favore delle Organizzazioni Sindacali comparativamente più rappresentative, il datore di lavoro, di fatto, è “costretto” ad applicare la retribuzione stabilita dai Contratti Collettivi Nazionali e di prossimità.
Pertanto, nell’ambito di un rapporto di lavoro subordinato, non è legittima l’erogazione di una busta paga minima erogata una tantum, ovvero estremamente ridotta.
Inoltre, pare utile precisare che la qualifica di socio lavoratore (quindi senza il rapporto subordinato) non permette il riconoscimento di alcuna forma di retribuzione/compenso monetario. In forza dell’art. 2247 c.c., lo scopo del contratto di società è la divisione degli utili (e non la remunerazione per l’attività svolta). Oltretutto, come noto, fintanto che la società startup è iscritta nella sezione speciale del registro delle imprese, vige il divieto di distribuzione degli utili. Successivamente il divieto potrebbe essere permanente qualora la ex siavs “diventi” impresa sociale.
Infine, non è chiara l’asserzione evitandogli (al socio dipendente) il pagamento INPS di tasca propria. In presenza di un rapporto di lavoro subordinato circa i due terzi dei contributi previdenziali sono a carico del datore di lavoro, un terzo a carico del lavoratore.