Startup in the Net 2022 - Intervista ad Adaptronics

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La rubrica Startup in the Net raccoglie una serie di interviste realizzate a startup innovative iscritte a EmiliaRomagnaStartUp e che ART-ER segue nel loro percorso di sviluppo e crescita.


Per spiegare il principio dell’elettroadesione, Lorenzo Agostini fa un esempio semplice. «Avete presente quando strofinando un palloncino sui capelli, questo rimane attaccato?» dice. È questo quello che fa, in estrema sintesi, il principio fisico alla base della tecnologia progettata da Adaptronics, la startup nata da un’idea dello stesso Agostini, di Camilla Conti e da un  team di ricercatori. Si tratta, come specifica il co-founder, di «una reinvenzione del modo di come i robot prendono gli oggetti, sia sulla terra che nello spazio». Lorenzo Agostini ci racconta nel dettaglio il progetto che si è evoluto nel tempo grazie anche alle opportunità che il team ha saputo cogliere a partire dalla Start Cup Emilia-Romagna 2021 fino ad arrivare al Mindset Program in Silicon Valley.

Agostini, di che cosa si occupa la vostra startup?

Abbiamo creato un film sottile che quando è attivato elettricamente si «appiccica» agli oggetti. La nostra tecnologia si può applicare come un polpastrello sulle mani dei robot in modo tale da semplificare la presa e gli spostamenti di un oggetto in vari ambiti come quello industriale, quello dello smistamento in magazzino oppure quello delle consegne dell’ultimo miglio. Impieghiamo una forza elettrostatica che riesce ad agevolare tutte le operazioni senza compressioni che rovinino ciò che si sposta, con un occhio rivolto alla sostenibilità dal momento che sfruttiamo un principio elettrostatico altamente efficiente energeticamente. Tale principio, inoltre, funziona anche nello spazio e questo ci dà un vantaggio in termini di competitività in questo settore.

Come vi è venuta l’idea?

Camilla ed io siamo amici dai tempi dell’università al PoliMi, poi abbiamo svolto il dottorato in università diverse, io Scuola Superiore Sant’Anna a Pisa lei sempre PoliMi. Da sempre ci siamo sempre ispirati a tirare fuori tante idee, e nel periodo del lockdown ci siamo messi a fare brainstorming per fare qualcosa di concreto. Abbiamo saputo che c’era aperto il bando della Start Cup Emilia-Romagna e abbiamo deciso di candidarci perfezionando il progetto di un dispositivo di presa degli oggetti sia di sensoristica del packaging.

Come è andata la business plan competition?

Molto bene. Non solo perché ci siamo classificati primi e siamo andati al Premio Nazionale per l’Innovazione vincendo il premio nella nostra categoria Industrial ma anche perché le competizioni ci hanno aiutato a validare l’idea di impresa. Come si dice in gergo, noi abbiamo pivotato. Non abbiamo cambiato la nostra mission ma abbiamo deciso di «congelare» la parte di sensoristica per il packaging per non disperdere le energie, puntando il focus sugli strumenti di presa quando abbiamo scoperto che i mercati di riferimento erano completamente diversi. Una volta chiarito questo, ci siamo costituiti a maggio 2022 come spin off dell’Università di Bologna.

Da chi è composto il team?

Siamo quattro co-founder. Camilla Conti ed io abbiamo studiato al Politecnico di Milano, io ingegneria meccanica, lei energetica. Per quanto riguarda la mia formazione, ho conseguito un dottorato in Emerging Digital Technologies alla scuola Superiore Sant’Anna di Pisa mentre Camilla ha ottenuto un dottorato in fluidodinamica ad ingegneria aerospaziale del PoliMi. A noi si sono aggiunti come co-fondatori il professore Rocco Vertechy e Gavino Boringhieri, uno dei mentor che abbiamo conosciuto nel corso della Start Cup che ha deciso di diventare nostro socio.

Oltre al nucleo di fondatori, vi avvalete di altre professionalità?

Certo. Essendo noi uno spin off, collaboriamo con un laboratorio dell’Università di Bologna che si chiama SAIMA – Sensori e Attuatori Intelligenti per il Manifatturiero Avanzato, di cui il professore Vertechy è il direttore. Sono nel nostro team operativo cinque dottorandi con competenze multidisciplinari: uno di questi è pagato proprio da Adaptronics grazie ai fondi del PNRR.

Come va la vita da imprenditori?

Bene anche se in laboratorio ci posso stare molto meno. Quando si passa da ricercatore a startupper si diventa un po’ avvocati, un po’ commercialisti, un po’ commerciali, tutte competenze importantissime quando si fa impresa. Al momento mi posso definire un business developer dal momento che in questa fase sto cercando di facilitare lo sviluppo delle tecnologia al team tecnico che stiamo costruendo. Comunque né io né Camilla ci possiamo lamentare: stiamo facendo esattamente quello che volevamo fare cioè essere parte dell’ecosistema dell’innovazione. È molto bello confrontarci con le competizioni: c’è un riscontro che ci ripaga tanto della fatica e ci motiva ancora di più. Noi per esempio siamo cresciuti molto grazie alla formazione e ai feedback. Da imprenditori il nostro compito è quello di filtrare quelli che ci sembravano più costruttivi. Ci siamo messi in gioco e al momento direi che ce la stiamo cavando. 

Adaptronics deve la sua crescita anche all’esperienza in Silicon Valley. Ci racconta come è andata?

Occorre fare una premessa. Camilla ed io abbiamo la fortuna entrambi di avere dei parenti a San Francisco quindi sapevamo bene o male quello che c’era dall’altra parte dell’oceano. Inoltre avevamo avuto una precedente esperienza con l’acceleratore Mind the Bridge.  Essendo rimasti in contatto con ART-ER eravamo aggiornati sulle opportunità. Quindi quando è uscito il bando per il Mindset Program in Silicon Valley non c’abbiamo pensato un attimo e siamo partiti un’altra volta.

Cosa avete messo in valigia?

Un bloc notes su cui appuntare tutto quello che avremmo imparato, biglietti da visita e un elevator pitch pronto da essere presentato. Ci siamo preparati usando Google, Maps e LinkedIN: avevamo solo dieci giorni di tempo e dovevamo prendere quanti più appuntamenti possibile. Non si può perdere tempo: conoscere le distanze da un luogo all’altro e il tempo di percorrenza è fondamentale.

Il tempo mi pare di capire è il fattore fondamentale.

Ho capito che la cosa più importante è sapere cosa chiedere e comunicare subito ciò di cui si ha bisogno in modo tale che l’interlocutore sia in grado di fare un’offerta. In Silicon Valley non si può perdere tempo: bastano dieci minuti per portare a casa un finanziamento. Se c’è il fit poi si capisce subito. Noi abbiamo sfruttato al meglio il programma e abbiamo imparato di più in quei dieci giorni che nei due mesi precedenti. È anche vero che avevamo già un network e le idee decisamente più chiare.

Su cosa vi siete concentrati?

Sulla strategia di internazionalizzazione e come poteva essere visto da quel mondo lì un aumento di capitale nell'ambito del venture capital italiano guardando in prospettiva a futuri aumenti di capitali internazionale.

E la risposta è stata soddisfacente?

Decisamente. Ci hanno messo in guardia sui vincoli che potevamo incontrare a fronte di investimenti immediati, invitandoci a prendere in considerazione opzioni più a lungo termine, se vogliamo anche rischiose, per essere più agili e valutare poi un hotspot negli Stati Uniti. Per noi quello è un mercato importantissimo dal momento che siamo impegnati anche nel settore aerospaziale che attualmente ha enormi potenzialità di crescita e un grande interesse da parte degli investitori.

Cosa bolle in pentola per Adaptronics?

Stiamo  lavorando per raccogliere il nostro primo round di investimento che ci servirà per avere una squadra operativa al 100% con personale assunto per potere far fronte a tutte le richieste che riceviamo dalle aziende per prototipi e proof of concept. Il mindset che abbiamo appreso in Silicon Valley ci permette di essere più veloci nel processo di validazione e di accelerazione: noi abbiamo un valore  da immettere sul mercato, non vediamo l’ora di poterlo fare.

Che consiglio darebbe a chi vuole intraprendere lo stesso percorso?

Di validare le proprie idee attraverso le competizioni come la Start Cup. Noi stiamo provando ad aprire nuove strade ma c’è continuo bisogno di startupper che creino insieme a noi questo ecosistema. È vero, l’ambiente italiano presenta qualche criticità dovuta ad esempio alla burocrazia ma niente è impossibile se ci sono sempre nuove imprese che trovano un modo come noi a risolvere i vari problemi che si pongono sul percorso con nuove soluzioni. La rete è fondamentale per abbattere muri di volta in volta e si creano dei precedenti: solo così possiamo far maturare il nostro ecosistema.


Tutte le interviste realizzate per la rubrica Startup in the Net sono disponibili a questo link.

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