Startup in the Net 2020 - Intervista a Tomapaint

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La rubrica Startup in the Net raccoglie una serie di interviste realizzate a startup innovative iscritte a EmiliaRomagnaStartUp e che ART-ER segue nel loro percorso di sviluppo e crescita.


Una ricetta del secolo scorso a base di pomodoro fa ottenere a una startup di Parma un importante riconoscimento dall’Europa grazie alla soluzione ecologica proposta nel pieno rispetto dell’economia circolare. La storia che a tratti sembra uscita da un film è quella di Tomapaint, un’azienda innovativa che estrae una bioresina dalle bucce di pomodoro.

Ci racconta i dettagli la CEO e responsabile scientifica Angela Montanari, fondatrice della startup insieme a Tommaso Barbieri e ai fratelli Stefano e Alessandro Chiesa.

Di che cosa si occupa Tomapaint?

Valorizziamo gli scarti dell’industria alimentare estraendo con un metodo innovativo da noi brevettato una bioresina dalle bucce di pomodoro chiamata cutina. La cutina può avere diverse applicazioni: noi la produciamo per l’utilizzo come componente principale di una biovernice da applicare ai contenitori metallici per alimenti. Parliamo delle classiche lattine che attualmente contengono una vernice derivata da petrolio quindi di origine fossile.

Una ricetta che viene da lontano. Ci racconti questa storia.

Lavoravo alla Stazione Sperimentale per l’Industria delle Conserve Alimentari (SSICA) di Parma e casualmente, mentre facevo una ricerca in biblioteca, mi sono imbattuta negli atti di un convegno del 1942. L’Italia a quel tempo era in guerra e, in assenza di petrolio vista la politica autarchica adottata dal nostro paese, avevano adottato questo metodo per ottenere vernici anzi, citando il testo, “una gommoresina dalle bucce di pomodoro”. Un’idea che fu poi abbandonata una volta finita il conflitto mondiale.

Come si è arrivati all’oggi?

Quando nel 2008 ho ripreso in mano il vecchio progetto, ho pensato di utilizzare non tanto il prodotto fresco quanto gli scarti di pomodoro in questo territorio molto abbondanti data la presenza di industrie alimentari di trasformazione del pomodoro. Una volta capito in laboratorio che c’erano gli estremi per andare avanti, ho pensato che questo fosse un tema che potesse rientrare in un progetto europeo. E così è stato. Quando abbiamo costruito il partneriato, l’azienda che si occupava di trasformazione dei pomodori - e che quindi produceva le bucce - ci ha presentato i fratelli Chiesa. Stefano e Alessandro sono proprietari di un’azienda agricola con un impianto di biogas da un megawatt che loro alimentano proprio con le bucce di pomodoro e così siamo stati in grado di chiudere la filiera.

Un progetto di economia circolare quando ancora quasi non se ne parlava.

All’inizio è stato molto difficile, non c’era la sensibilità che c’è adesso. Con quel primo finanziamento europeo abbiamo ottenuto il brevetto che la startup utilizza in licenza. Con il tempo abbiamo cominciato a vedere l’interesse delle aziende e questo ci ha convinti a partecipare alla Start Cup Emilia-Romagna nel 2018. Dovevamo andare avanti e passare alla fase successiva, quella industriale e commerciale.

E come è andata?

Molto bene visto che ci siamo piazzati al secondo posto, passando di diritto al PNI. Al premio Nazionale per l’Innovazione siamo arrivati in finale e abbiamo vinto il premio Matheria. A inizio 2019 abbiamo costituito la società in Camera di Commercio gratuitamente, sempre grazie alla Start Cup, e con i primi fondi ottenuti abbiamo investito in comunicazione e per la licenza del brevetto di proprietà dei Chiesa. Abbiamo avuto poi accesso alla fase 1 e 2 del programma Climate-KIC Startup Accelerator Italy grazie a cui ci siamo strutturati meglio da un punto di vista legale e amministrativo. Abbiamo successivamente vinto un premio a livello provinciale nell’ambito dell’iniziativa Open Innovation, che ci ha consentito anche di avere una sede gratuita all’Unione Parmense degli Industriali e il programma di accelerazione UpIdea!. Possiamo dire di avere sfruttato tutto quello che l’ecosistema delle startup ha messo in campo sul nostro territorio.

Quanto sono importanti premi di questo tipo per chi voglia intraprendere questa strada?

Per noi hanno significato la sopravvivenza. Senza quei fondi e quella rete di relazioni avremmo fatto fatica ad andare avanti. Inoltre ci hanno dato tantissima visibilità: sono sicuramente un biglietto da visita importante. Per questo dobbiamo anche ringraziare ART-ER che ci ha seguito dalla Start Cup in avanti: hanno creduto in noi per noi è stato un grande stimolo. Questo è un mondo molto difficile…

I riconoscimenti a Tomapaint non arrivano solo dall’Emilia-Romagna ma voi sbancate anche in Europa.

Grazie ai progetti Biocopac e BiocopacPlus, coordinati da SSICA,  abbiamo realizzato l’impianto pilota mentre con Agrimax, progetto ancora in corso coordinato dalla spagnola IRIS, abbiamo messo a punto una bioraffineria per utilizzare altri scarti nello stesso impianto. Nel 2019 abbiamo avuto il Sigillo di Eccellenza nell’ambito del bando EIC accelerator e successivamente, nel 2020, abbiamo vinto un finanziamento nell’ambito dell’EIC accelerator Green Deal. Questo ci ha permesso di procedere ad assunzioni e a partire con l’impianto industriale. Devo dire che siamo stati bravi e fortunati al tempo stesso: i bandi sono aperti a tutti ma è difficilissimo vincerli.

Come si è evoluto il progetto?

Noi siamo partiti con l’intenzione di produrre la bioresina per le vernici naturali per gli imballaggi ma anche grazie alla Start Cup abbiamo ricevuto richieste per applicazioni in settori diversi da quella del legno a quello della cosmetica passando per detersivi. Nuovi mercati, quindi, e nuove opportunità.

Da ricercatrice come si trova nei panni di imprenditrice?

Non è facile. La difficoltà viene dal rischio che uno di volta in volta si deve assumere, non solo di tipo economico. È un grande impegno star dietro ai rapporti con i clienti e con i fornitori così come ai regolamenti e alle leggi che cambiano continuamente. Avere nel team imprenditori con l’esperienza dei miei soci è importante.

Alla luce di questo, che consiglio si sente di dare a chi vuole fondare una startup?

Di provarci. Nonostante sia una strada impegnativa, il tipo di formazione che ne trarrebbe è molto stimolante, specialmente se si tratta di un giovane. Anche se la startup non andasse a buon fine, quel bagaglio culturale e di conoscenza gli sarà sempre utile nel mondo del lavoro. E poi consiglio di servirsi della rete che si occupa di imprese, soprattutto se è emiliano-romagnolo. Da questo punto di vista il nostro territorio offre tantissime opportunità. Bisogna saperle cogliere.


Tutte le interviste dell'edizione 2020 di Startup in the Net sono disponibili a questo link.

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