Startup in the Net 2021 - Intervista a Cubbit

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La rubrica Startup in the Net raccoglie una serie di interviste realizzate a startup innovative iscritte a EmiliaRomagnaStartUp e che ART-ER segue nel loro percorso di sviluppo e crescita.


Parola d’ordine: resistenza.  Da quando nel 2016 hanno gettato le basi della loro startup in un airbnb (qui potete ascoltare la storia), i founder di Cubbit ne hanno di storie di successo da raccontare. L’ultima in ordine di tempo è la chiusura di un round di finanziamento da 7 milioni di euro grazie alla partnership con investitori italiani e internazionali di primaria importanza. Sembra tutto rose e fiori ma non è così: dietro ai risultati c’è un enorme lavoro di squadra e la volontà di non arrendersi mai di fronte alle difficoltà.

Di questo e tanto altro abbiamo parlato con Alessando Cillario, co-founder e Co-CEO di Cubbit. 

Cillario, cosa fa Cubbit?

Noi ci occupiamo di deep tech utilizzando una tecnologia altamente innovativa di cloud distribuito che ci permette di offrire un servizio di storage in grado di garantire privacy e sicurezza, il tutto con un approccio sostenibile. Questo significa che ogni dispositivo può diventare un nodo della nostra rete, dai decoder ai computer, passando per gli smatrphone e i server: basta avere la connessione a internet, un po’ di storage e di capacità computazionale. Proprio per questo la nostra soluzione è più vantaggiosa perché è meno costosa. Inoltre di ogni dato salvato solo l’utente ha la password grazie alla tecnologia da noi impiegata chiamata zero-knowledge e siamo tra i pochi cloud provider a farlo nel mondo. Infine, non servendoci dei data center tradizionali, per la manutenzione del servizio noi riusciamo ad abbattere la produzione di almeno 40mila chilogrammi di CO2 all’anno, con un impatto ambientale decisamente contenuto.

 Come hanno fatto quattro studenti universitari ad arrivare fin qui?

Come dice sempre Gianluca Dettori, uno dei primi che ha creduto in noi, «Cubbit mi ha colpito perché partecipavano a ogni competizione dedicata alle startup e molte le vincevano pure». È vero. Siamo partiti nel 2016 con la Start Cup Emilia-Romagna. Siamo arrivati quarti alla business plan competition guadagnando lo stesso l’opportunità di partecipare al PNI, stavolta arrivando sul gradino più alto del podio. Quella fu una bella boccata d’ossigeno, non solo per il premio di 25 mila euro ma anche perché vincere ci ha dato credibilità nel nostro settore. L’anno successivo abbiamo seguito un primo programma di accelerazione con Primo Ventures e nel 2018, mentre stavamo ancora sviluppando la tecnologia, abbiamo seguito un programma di accelerazione a Tel Aviv con Techstars e Barlcays. Quando siamo tornati in Italia, abbiamo deciso di lanciare una campagna di crowdfunding su Kickstarter e su Indiegogo grazie alla quale abbiamo raccolto più di un milione di euro. Inoltre in quello stesso periodo abbiamo vinto un bando molto competitivo dell’Unione Europea, lo SME Instrument di Horizon 2020 ottenendo 2 milioni di euro in investimenti equity free per lo sviluppo della tecnologia.

Nel 2020 siamo entrati sul mercato con il nostro prodotto e contemporaneamente abbiamo costruito e chiuso il round di finanziamento con i principali investitori istituzionali italiani nel mondo del venture capital e non solo.

Ci racconta come avete preparato la campagna di crowdfunding così magari da dare anche un consiglio ai vostri «colleghi»?

C’è stata una fase di pianificazione abbastanza tosta perché se la campagna la vuoi preparare per bene occorrono tra i quattro e i sei mesi di tempo. Abbiamo lavorato molto al video perché è necessario essere chiari e accattivanti al tempo stesso e, per noi che ci occupiamo di una tecnologia così complicata, è stata una bella sfida. Abbiamo messo in piedi una struttura di marketing: può essere interna, esterna o ibrida, l’importante che ci sia un supporto di tipo professionale perché serve a raggiungere la platea degli early adopters. Altro aspetto fondamentale: una campagna si vince prima ancora di lanciarla. Se il tuo obiettivo è raccogliere 100mila euro, devi assicurarti un pre-committment di almeno il 50%.

 Voi in questa fase chiamata di pre-marketing cosa avete architettato?

Abbiamo lanciato un pre-order con un ticket da 10 euro che avrebbe consentito successivamente l’acquisto a un prezzo scontato. Questo ci ha permesso di accumulare contatti di sottoscrittori che al lancio della campagna vera e propria ha fatto scalare l’attenzione sul nostro progetto. Gli algoritmi di Kickstarter così come Indiegogo vedono quali sono le campagne che stanno performando meglio e quindi danno loro una maggiore visibilità anche sui loro canali, parliamo anche di newsletter a cui sono iscritte milioni di persone. L’ultimo punto invece su cui vorrei soffermarmi è che il piano di comunicazione va programmato nei mesi precedenti come il lancio di un’attività di cross-contamination con altre campagne. Voglio dire anche che non c’è da preoccuparsi se il picco di attenzione non è costante: i primi giorni sono di sicuro i più caldi, poi c’è un periodo di stabilizzazione. È bene ricordare una cosa per chi si volesse cimentare in un’operazione di questo tipo: l’unico lavoro che paga davvero è quello fatto prima.

 Quanto avete raccolto su Kickstarter?

Solo nel primo mese circa 410mila euro poi, visto che stava andando molto bene, abbiamo deciso di proseguire su Indiegogo e in totale possiamo parlare di una raccolta di un milione di euro. Per noi è stato un grande successo perché grazie al risultato rientriamo nell’1% tra le campagne più finanziate di sempre su Kickstarter.

 Come avete investito quel denaro?

Quello che abbiamo fatto e che facciamo tutt’ora è puntare sulla ricerca e sviluppo della nostra tecnologia ampliando anche il team. Dal momento che è molto sofisticata, abbiamo bisogno di sviluppatori molto capaci. In quel momento ci siamo buttati quindi a capofitto sulla realizzazione del prodotto, la Cubbit Cell, che commercializziamo ancora oggi dopo averlo lanciato sul mercato a metà 2020.

In quello stesso periodo avete cominciato anche a costruire il round di finanziamento. Chi ha scommesso su di voi?

Premetto che si è trattato di un lavoro complesso anche in questo caso: la nostra tecnologia ha un elevatissimo potenziale di business ma trattandosi di una deep tech si tratta anche di un investimento che richiede maggiori capitali. Abbiamo avuto tante interlocuzioni ma quelli che sono saliti a bordo sono stati Primo Ventures e Techstars, loro hanno reinvestito rispettivamente per la terza e seconda volta. Si sono aggiunti il Fondo Digitech – Azimut Libera Impresa, CDP Venture Capital Sgr, GELLIFY, i soci di IAG (Italian Angels for Growth), il Family Office di Massimo Prelz Oltramonti.

Questo round ci ha permesso di assumere personale e di crescere: nel 2016 eravamo in quattro ora invece il nostro team conta quasi 50 persone. 

Quali sono i prossimi step?

Siamo impegnati nel lancio della soluzione B2B del nostro prodotto con la prima rete di cloud distribuito per le aziende italiane chiamata Next Generation Cloud Pioneers. Su questo ci aiuta anche il fatto di essere partner di Gaia X, un ambizioso progetto europeo che mira a creare nuove regole per il cloud. 

Il Cloud distribuito sarà un trend dei prossimi anni, al momento sono 3-4 le aziende al mondo che se ne stanno occupando, perché si tratta di una tecnologia particolarmente complessa. E noi siamo l’unica azienda europea a farlo, tutte le altre sono di origine americana. 

A inizio 2022 annunceremo i partecipanti al programma Next Generation Cloud Pioneers, fra cui ci saranno importanti aziende italiane che hanno deciso di adottare questa tecnologia. Continueremo a raccogliere le adesioni fino a gennaio. 

Voi avete deciso di rimanere a Bologna. Perché?

La nostra azienda è distribuita. In Cubbit si può lavorare da tutto il mondo, e abbiamo collaboratori in Europa, America e Russia. Però il cuore della nostra attività rimane a Bologna: con altre scale-up tecnologiche italiane condividiamo l’obiettivo di voler dimostrare come anche in Italia possano nascere e crescere aziende deep tech nel settore digitale. Nel nostro paese abbiamo persone altamente preparate: il primo modo per vincere la subalternità è iniziare a combattere quelle forme di rassegnazione che sono per lo più frutto dei nostri preconcetti. 

Qual è l’identikit dell’innovatore?

Come presupposto di partenza deve essere una persona nella cui testa passano un sacco di idee. Poi la differenza tra uno bravo e uno che lo è meno è la capacità di selezionare queste idee. Non tutti i progetti possono essere buoni: decidere cosa buttare è la parte più difficile. La personalità dell’innovatore è poliedrica. Deve avere molti interessi e trasversali, anche di carattere culturale, perché è combinando stimoli diversi che si riescono a mettere a fattore comune elementi di grande valore. E anche sulle competenze, gli innovatori non devono essere necessariamente laureati in Economia, Ingegneria o Informatica. Conosco startupper di successo laureati in filosofia o altre materie umanistiche.

Che consiglio si sente di dare a quattro studenti di oggi che sognano la loro startup?

Di tenere le orecchie dritte rispetto a tutte le opportunità offerte dal territorio e nel mese di maggio di ogni anno iscriversi allo Startup Day dell’Università di Bologna. E’ un evento che abbiamo fondato io e un altro dei co-founder di Cubbit per fare incontrare tra loro persone che potrebbero sviluppare insieme un progetto e per conoscere l’intero ecosistema dedicato alle startup. Noi siamo stati anche incubati alle Serre di ART-ER nel periodo in cui lanciavamo la nostra campagna di crowdfunding. Per noi quella è una rete molto importante.

Io lo dico sempre: dall’estero stanno guardando con molta attenzione a quello che succede in Italia e una realtà come ART-ER ha la massa critica per mettere a sistema tutte le startup di una regione creando un ponte a livello internazionale che sarà strategico nei prossimi anni.


Tutte le interviste realizzate per la rubrica Startup in the Net sono disponibili a questo link.

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